mercoledì 29 agosto 2012

L'Universo di Albert


Una delle espressioni più conosciute di quelle attribuite ad Albert Einstein recita: “Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana, ma riguardo l'universo ho ancora dei dubbi”.

Chi si occupa in modo competente di sicurezza e salute negli ambienti di lavoro, spesso identifica la propria professionalità con la capacità di ricordarsi a memoria le decine di articoli che compongono un provvedimento del legislatore, oppure sostiene la propria abilità nel ricondurre una procedura, un processo, un evento al corrispondente precetto trattato in un articolo dalla Legge.

Non è così.

Nell’ambito della prevenzione chi ha grandi capacità lo si riconosce per la cultura, per le attitudini organizzative, per l’approccio a favorire il cambiamento in una struttura di per se anche non particolarmente problematica, ma che con opportune correzioni può essere ricondotta ad un livello di sicurezza e salute almeno accettabile.

Per fare questo è necessario introdurre o perfezionare un atteggiamento che comprenda:

  • Mantenere senso di vulnerabilità;
  • Combattere la normalizzazione della devianza;
  • Stabilire un imperativo per la sicurezza;
  • Eseguire valide e tempestive valutazioni dei rischi;
  • Garantire una comunicazione interpersonale franca e aperta;
  • Formazione e far avanzare la cultura.
E’ esperienza comune che, dopo un certo arco di tempo, si vadano consolidando dei modi di operare, delle procedure leggermente diverse da quanto pianificato e concordato. In genere questo avviene perché gradualmente si perde la cognizione del pericolo, della possibile anomalia in grado di creare la situazione critica. Si arriva a ritenere sempre più improbabile il verificarsi del pericolo senza una vera motivazione razionale, ma solo per mancanza del senso di vulnerabilità. Per evitare ciò è necessario combattere fin da subito le procedure ed i comportamenti devianti, prima che vengano adottati in modo ricorrente.

Chi si occupa di prevenzione deve dare il buon esempio, deve favorire il trasferimento della cultura del rischio e di come è spesso semplice ridurlo senza costi aggiuntivi.

Vi sono persone che non conoscono o non comprendono questo approccio alla sicurezza ed alla salute aziendale. Nella quasi totalità delle volte sono personalità narcisistiche che con la prevenzione non hanno nulla a che vedere. Li riconosci dal modo insincero di comunicare, dalle statistiche che presentano, dalle indagini storiche che illustrano. Sono coloro che parlano di denaro, interessi economici, trame di potere, e non hanno alcun interesse a realizzare progetti perché la cultura della sicurezza si affermi realmente. Su quella dell’universo no, ma sull'infinità umana abbiamo, purtroppo, la certezza.

martedì 14 agosto 2012

Non è facile analizzare ed assimilare il concetto di cosa è "Potere" - II parte


Seconda dinamica di potere 
Il potere dell’integrità è il potere legato alla fidatezza ed alla coscienziosità dimostrati.
La fidatezza è la qualità delle persone corrette, sincere, che prendono le loro decisioni secondo i propri principi, secondo la propria morale. 

Dimostriamo la nostra fidatezza costruendo rapporti interpersonali basati sulla fiducia, avvalorando ad ogni occasione quanto siamo affidabili ed autentici. 
A volte la fidatezza si dimostra prendendo in carico problematiche scomode, oppure assumendo all’occorrenza posizioni di principio quand’anche malviste dalla comunità sociale.

La coscienziosità è la qualità di coloro che ammettono con sincerità i propri errori, di coloro che onorano gli impegni e mantengono le promesse fatte, di chi si ritiene responsabile della conquista dei propri obbiettivi, di chi ha organizzato con attenzione la propria esistenza ed è impegnato e scrupoloso nel lavoro come nella famiglia.
L’integrità, ossia l’agire in modo onesto, aperto e coerente, distingue le persone capaci di performance eccellenti in ogni tipo di iniziativa.

Il potere è dovuto al fatto che la fiducia e la stima che ci siamo meritati nel tempo sono le garanzie delle nostre scelte, scelte che non esitiamo a proporre e che vengono prontamente accettate perché considerate, fino a prova di smentita, eticamente corrette.
Consapevoli di ciò, una volta costruito il clima di fiducia, esercitiamo tale potere quando allontaniamo da noi comportamenti devianti oppure quando giudichiamo ammissibili innovazioni e modi di agire non ortodossi ma corretti.
I nuovi equilibri associati al cambiamento sono delicati, fragili, l’integrità di chi ha proposto un nuovo modo di lavorare li rende più saldi. Subiamo tale potere quando, cercando di forzare una decisione di per se eticamente scorretta, ci viene opposta l’integrità morale altrui.

E’ fondamentale ora evidenziare una peculiarità propria di qualunque dinamica di potere: è possibile esercitare potere pur senza detenere quello stesso potere.

Infatti possiamo definire potere percepito la percezione del nostro potere che gli altri hanno. Tale percezione può essere un’immagine maggiore, autentica oppure minore del potere da noi realmente posseduto, ma può anche essere l’immagine di un potere inesistente come quello millantato o quello presunto.

Una qualunque dinamica di potere ci può permettere di ottenere risultati purché ci limitiamo ad esercitare il potere percepito, ovvero sfruttando l’immagine mentale della controparte che il nostro ambito è da noi sottoposto all’esercizio di un’influenza o di un dominio per lo più assoluti. Siamo certamente in grado di mantenere quanto abbiamo, magari implicitamente, prospettato.

A questo punto diventa comprensibile una delle strategie più infide per annientare un potenziale nemico nel luogo di lavoro: impedirgli di “prendere riputazione” (Machiavelli) utilizzando espedienti volti a ridurre progressivamente la sua capacità di esercitare dinamiche di potere, non tanto agendo direttamente sul potere da lui realmente posseduto ma sulla percezione che gli altri hanno di quel potere.

Nel suo libro “Vom Kriege” (“Della Guerra”, 1832), Carl von Clausewitz scrive: «La violenza è dunque il mezzo; l’imposizione della nostra volontà al nemico è lo scopo. Per raggiungere con sicurezza questo scopo dobbiamo disarmare il nemico: questo è concettualmente l’obiettivo vero e proprio dell’azione bellica. Esso prende il posto dello scopo e lo respinge in un certo senso come qualcosa che non appartiene alla guerra stessa».

Quindi, nel caso del potere dell’autorevolezza, per disarmare il nemico sul luogo di lavoro è sufficiente impedire l’aggiornamento ed evitare le opportunità per la crescita professionale. Altro metodo consiste, da un lato, quello di impedire lo svolgimento di attività per le quali è necessaria una specifica professionalità in modo da negare risultati che possano creare prestigio, dall’altro quello di nascondere o denigrare immancabilmente le azioni professionalmente valide realizzate oppure attribuire ad altri i meriti; in questo modo ben presto il nostro avversario non verrà più considerato un esperto, una persona preparata. Anche la proposta di un’innovazione creativa può essere efficacemente contrastata con un atteggiamento critico ma il metodo più efficace consiste nel prevenire simili iniziative, con scadenze lavorative impietose, con un ipercontrollo delle attività seguito dalla più capillare gestione di ogni singolo aspetto, con un’assidua sorveglianza personale in grado di evidenziare un clima di limitata libertà e scoraggiare ogni forma di originalità.

Al pari, volendo ancora disarmare il nemico, nel potere dell’integrità deve essere contrastato l’instaurarsi del clima di fiducia ed il raggiungimento di una buona reputazione professionale. Quindi il soggetto deve essere indicato come persona particolarmente inaffidabile, irresponsabile e non coscienziosa, qualunque risultato abbia raggiunto e qualunque atteggiamento abbia assunto; in altre parole deve essere mortificata la sua integrità perché da essa si genera la credibilità professionale. In particolare, poiché è sempre possibile trovare una falsa motivazione “interessata” per ogni comportamento umano, deve essere immancabilmente svilito pubblicamente ogni suo atteggiamento etico. Inoltre per impedire che vengano rispettati gli impegni, devono essere assegnati compiti estremamente complessi, meglio ancora se oggettivamente impossibili da portare a termine, e qualora ciò dovesse accadere si deve provvedere ad espropriare i meriti.
Per contrastare questa tendenza è probabile che la vittima si difenderà assumendo progressivamente la condotta più irreprensibile, questa contromisura dev’essere immediatamente riconosciuta ed utilizzata per screditare ulteriormente le qualità dell’avversario, accusandolo di falsità e di aver sviluppato un “comportamento rigido” che mal si adatta al clima informale e collaborativo del gruppo.

Semplice, no?

sabato 4 agosto 2012

Come utilizzare al meglio questo Blog


Gli argomenti trattati in questo spazio non sono di facile assimilazione se non si sta vivendo una situazione conflittuale sul luogo di lavoro. Per quanto possa sembrare irrazionale certi comportamenti non sono comprensibili con la comune esperienza di vita, anzi la personalità psicopatica perversa sfrutta questa prerogativa per celare un’aggressione dolosa.

Per chi è coinvolto suo malgrado in una guerra psicologica iniziata per motivi di lavoro, io consiglio di seguire periodicamente quanto viene pubblicato nel Web ed apprendere dall’esperienza altrui. Non c’è necessità di farlo in modo ossessivo, ma tramite la rete possiamo trasferire informazioni mirate a svelare come vengono nascoste certe dinamiche di potere.