giovedì 31 ottobre 2013

Vale sempre la prima impressione?





Ci sono persone che troviamo immediatamente simpatiche, altre attraenti, per altre ancora riconosciamo in loro quella sensibilità o semplicità che ce le rende immediatamente amabili, piacevoli.

E’ solo la prima impressione, possiamo fidarci?

A mio parere, nella maggioranza dei casi, la prima impressione è affidabile.

Ogni essere umano comunica in continuazione, anzi non possiamo non comunicare. Comunichiamo chi siamo da come ci vestiamo, da come abbiamo tagliato i capelli, da come abbiamo valorizzato il nostro viso; comunichiamo soprattutto con il linguaggio del corpo, con il movimento degli occhi, con le espressioni del viso, con i gesti delle mani, con il muovere le gambe.

Questa forma di comunicazione è innata in noi. La attuiamo, così come la percepiamo negli altri. In generale la comunicazione non verbale veicola le emozioni ed è prevalente sulla comunicazione verbale che, primariamente, veicola informazioni. 

Quindi se dico che il cibo che sto mangiando è particolarmente buono ma, al contempo, piego verso il basso gli angoli della bocca, il mio interlocutore percepirà una comunicazione disarmonica, paradossale. E nel dubbio darà la prevalenza alla comunicazione non verbale (il cibo non è buono, ma sto fingendo che lo sia).

Questa forma di comunicazione ambigua, paradossale, è particolarmente pericolosa soprattutto se attuata nei confronti dei bambini al di sotto dei cinque anni. Il bambino “sente” che c’è qualcosa che non va se la mamma gli parla con tono amorevole ma non lo stringe a se, non gli fa sentire calore umano.

Quindi, poiché non dipende da fattori culturali, possiamo quasi sempre fidarci della prima comunicazione non verbale, del primo linguaggio del corpo che vediamo in una persona, in definitiva della prima impressione.

Ma è una regola che non vale sempre.

Bisogna sempre lasciare un piccolo margine al timore, al dubbio, perché ci sono individui che sono abilissimi nel mostrare fin da subito un’immagine ultra positiva di loro stessi, che sanno fingere senza lasciar trapelare la minima incertezza, la minima indecisione. Fa parte di una strategia seduttiva molto più ampia, che non è possibile percepire subito. Una strategia orientata a far sottomettere un poco alla volta il suo interlocutore, una strategia subdola capace di svuotare progressivamente le sue energie, la sua capacità di ribellione, la percezione stessa dell’annientamento emotivo, dell’isolamento. E sono quelli che diventano pericolosi quando ti accorgi che cosa ti stanno facendo, come ti hanno condizionato.

Al contrario in amore, oppure ancora di più nell’amicizia sincera, la percezione spontanea di simpatia, di calore umano, di desiderio o di affetto, non muta nel tempo.


mercoledì 30 ottobre 2013

Codice di Procedura Penale - Opposizione all’archiviazione






L’articolo 408 del Codice di Procedura Penale in vigore nella Repubblica Italiana così recita:

1. Entro i termini previsti dagli articoli precedenti, il Pubblico ministero, se la notizia di reato è infondata, presenta al Giudice richiesta di archiviazione. Con la richiesta è trasmesso il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali degli atti compiuti davanti al Giudice per le indagini preliminari.

2. L’avviso della richiesta è notificato, a cura del Pubblico ministero, alla persona offesa che, nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione, abbia dichiarato di volere essere informata circa l’eventuale archiviazione.

3. Nell’avviso è precisato che, nel termine di dieci giorni, la persona offesa può prendere visione degli atti e presentare opposizione con richiesta motivata di prosecuzione delle indagini preliminari.


Sul terzo comma di questo articolo ci sono due precisazioni da fare per chi vuole oppure è costretto a seguire in prima persona il prosieguo dell’iniziativa penale.

La prima precisazione riguarda il termine di dieci giorni. In realtà la persona offesa dal reato può comunque presentare un Atto di Opposizione fino a quando non sia intervenuta la decisione del Giudice per le indagini preliminari. Quindi il termine dei dieci giorni è una garanzia per la persona offesa e non un limite. In altre parole il Giudice per le indagini preliminari non può prendere una decisione prima di dieci giorni, dando modo alla persona offesa di studiare il fascicolo e provvedere a motivare l’eventuale opposizione. (Corte Suprema di Cassazione, Sezione II penale, Sentenza n. 15888 del 08.05.2006).

La seconda precisazione riguarda la possibilità di presentare opposizione solo se contenente una richiesta motivata per la prosecuzione delle indagini preliminari. Anche in questo caso, se non si intende richiedere la prosecuzione delle indagini preliminari ma si vuole impedire una ingiusta archiviazione, è possibile presentare un Atto di Opposizione scritto sulla base della Sentenza Corte Costituzionale n. 95 del 11.04.1997 che riporta: “L’opposizione motivata dalla incompletezza delle indagini del Pubblico ministero non è peraltro l’unico strumento per contrastare la richiesta di archiviazione: nelle situazioni in cui le indagini siano state esaurientemente espletate, ovvero il titolo del reato o le concrete modalità di realizzazione del fatto rendano non necessaria alcuna indagine, la persona offesa può egualmente presentare Atto di Opposizione, indicando motivi volti a dimostrare la non infondatezza della notizia di reato. Ove le argomentazioni della Persona Offesa siano convincenti, il Giudice deve comunque fissare l’udienza in camera di consiglio a norma dell’articolo 409, comma 2, peraltro espressamente richiamato dall’articolo 410, comma 3, Codice Procedura Penale, così assicurando alla persona offesa la medesima tutela prevista in caso di opposizione volta a ottenere la prosecuzione delle indagini preliminari”. (Corte Costituzionale, Sentenza n. 95 del 11.04.1997)

domenica 27 ottobre 2013

Fingere un falso evento per giustificare una reazione violenta





Nel marzo 1962 un’organizzazione governativa con sede a Washington ricevette un rapporto con una serie di ipotesi militari atte a giustificare un intervento armato su Cuba. Nel documento veniva ipotizzata una strategia per creare ad arte un “incidente” da poter poi utilizzare come pretesto per una incursione militare, in modo da mascherare alla comunità internazionale le vere ragioni dell’operazione.


Uno dei possibili scenari veniva grossomodo così descritto.

Bisognava acquisire i codici di navigazione aerea di un volo charter civile temporaneamente predisposto per la missione, in modo da duplicarli su un secondo aereo simile, destinato alla dismissione ma riverniciato e riutilizzato. Il volo charter avrebbe opportunamente dovuto decollare da un aeroporto sulla costa del Golfo del Messico con rotta in un paese centroamericano, in modo da predisporre l’attraversamento dello spazio aereo di Cuba. Per i passeggeri era stata data l’indicazione di inventare una piccola associazione, un gruppo di studenti, una unione di imprenditori, un qualche insieme di persone aventi un interesse in comune, perché così vengono in genere predisposti questi voli non di linea.

Il piano era di far decollare gli aerei in modo che il primo tracciasse con il trasponder una rotta con il suo codice autentico, mentre l’aereo-ombra non avrebbe comunicato ai sistemi radar civili un suo proprio codice di navigazione perché a trasponder disattivato. Volando a bassissima quota sul mare oppure al di sotto di un altro aereo di pari dimensioni è possibile non lasciare una traccia evidente nei sistemi radar.

Le due rotte avrebbero avuto un punto di incontro nei cieli a sud della Florida. Al momento del ritrovo nel punto convenuto l’aereo-ombra sarebbe salito di quota ed avrebbe attivato il trasponder con il codice di navigazione dell’aereo civile, il quale, a sua volta, lo avrebbe spento in modo sincronizzato. L’aereo civile con i passeggeri a bordo avrebbe perso quota, quindi avrebbe utilizzato le stesse strategie di occultamento della traccia radar per raggiungere una pista ed atterrare. I passeggeri, in realtà persone con una falsa identità, sarebbero stati evacuati rapidamente.

A questo punto l’aereo-ombra avrebbe proseguito sulla rotta prestabilita per il volo charter. Giunto entro lo spazio aereo cubano l’equipaggio avrebbe segnalato un’aggressione da parte di una forza aerea ostile utilizzando le frequenze di soccorso internazionalmente codificate. Un istante prima di abbandonare il velivolo l’equipaggio avrebbe attivato un dispositivo di autodistruzione in modo da simulare un’esplosione anomala, quindi un attacco militare.
Iniziate immediatamente le ricerche dei possibili superstiti si sarebbe in realtà provveduto a recuperare l’equipaggio dell’aereo-ombra, per trasferirlo in un luogo sicuro, lontano da occhi indiscreti.

In questo modo l’atto di ostilità sarebbe stato annunciato alla comunità internazionale da una organizzazione civile in grado di monitorare il traffico aereo, e la classe politica dirigente avrebbe potuto cavalcare l’onda di indignazione per poi giustificare e rendere accettabile l’invasione militare. Fine del piano.

Verità storica nascosta per mezzo secolo? Descrizione di pura fantasia? Falso abilmente realizzato per vendere libri che parlano di astuti complotti mai realizzati? Non possiamo saperlo con certezza. In questo contesto ci interessa però trovare le analogie con quanto accade nei luoghi di lavoro.

Molti credono che una persona capace, intelligente, dotata di iniziativa, di buona volontà, onesta, corretta, non possa non affermarsi nel mondo del lavoro. E’ una falsa convinzione perché è basata sulla certezza di vivere in un mondo sostanzialmente giusto. Sappiamo tutti però, per esperienza personale prima ancora che per altro, che in tutte le comunità vi sono i narcisisti, gli invidiosi, le persone che soffrono di gelosie professionali, i perversi. Sappiamo anche che la coscienza del gruppo è diversa da quella dei singoli componenti, e che non necessariamente è migliore. Quindi in un contesto lavorativo la persona più capace, creativa, corretta, può benissimo divenire oggetto di violenza psicologica da parte del gruppo coalizzato contro di lei. E tra le strategie di attacco che dobbiamo temere c’è anche quella nella quale gli aggressori potrebbero organizzare un falso evento per giustificare una loro reazione violenta. Oppure per provocare l’adozione di un grave provvedimento disciplinare, suscitare una reazione emotiva di indignazione, oppure il licenziamento per giusta causa.

Questo non significa che dobbiamo continuamente temere un evento a noi ostile. Non tutti i luoghi di lavoro sono ambienti conflittuali, resta però una buona prassi quella di non offrire la giugulare a persone che potrebbero aver mostrato solo un’immagine amichevole di facciata, tanto per convincerci della loro amicizia. E che non aspettano altro se non il momento favorevole per attuare il loro piano.


domenica 20 ottobre 2013

L’enigma della motivazione che ha convinto Isabella di Spagna





Tutti sappiamo che Cristoforo Colombo è salpato ufficialmente da Palos con tre Caravelle il 3 agosto 1492, e nel gennaio dello stesso anno era stata riconquistata la città di Granada. Poiché per trovare le navi, selezionare l’equipaggio, ed allestire la spedizione è ipotizzabile un tempo di almeno otto settimane, con buona approssimazione Colombo è riuscito a convincere la Regina Isabella a finanziare e sostenere politicamente il suo tentativo di raggiungere le Indie con una rotta verso occidente, nel tempo di circa tre mesi. Quali argomenti può aver utilizzato?

La Regina Isabella ha appena affrontato una campagna militare per cacciare i Mori dalla penisola iberica. E’ riuscita nell’intento ma, muovere l’esercito, è sempre stato storicamente dispendioso. Quindi Colombo deve superare le resistenze di Isabella che, probabilmente, non ha nelle casse del suo regno quelle risorse in grado di sostenere una spedizione verso l’ignoto. Deve quindi trovare un argomento in grado di coinvolgere Isabella sul piano emotivo, posto che sul piano puramente razionale l’impresa è priva di qualunque garanzia.

Nelle più attendibili descrizioni del quadro storico che sono arrivate fino a noi sembra avere un ruolo di rilievo Papa Innocenzo VIII. Insieme ad un gruppo di banchieri ed armatori, il genovese Innocenzo VIII avrebbe finanziato l'impresa. Ma resta il fatto che Colombo riuscì sicuramente a convincere Isabella di Spagna a contribuire in modo significativo alla spedizione, perché addirittura in alcune opere Isabella viene raffigurata mentre cede i suoi gioielli a Colombo, i gioielli che in quel momento stava indossando.

Il navigatore ed avventuriero genovese in realtà convinse Isabella con il sogno.

Narrò alla Regina di una informazione raccolta nel suo girovagare, l’esistenza di una fonte d’acqua miracolosa in grado di ringiovanire il corpo. La fonte dell’eterna gioventù. Narrò che vi era un luogo ove gli indigeni che avevano raggiunto le soglie della vecchiaia si recavano per immergersi in un’acqua limpida, così da tornare al villaggio con il corpo straordinariamente rinvigorito, giovane, bello, sano.

Immaginate Isabella, forte, determinata, ma non più giovanissima. Immaginate il periodo storico, una società in pieno fermento. Immaginate la poca attendibilità delle informazioni che circolavano, senza un vero rigore scientifico, impregnate di convincimenti irrazionali, religiosi. Così Cristoforo Colombo promise ad Isabella di andare a cercare l’acqua che l’avrebbe resa per sempre giovane. Impossibile resistere.

Questa forma di comunicazione fa leva sulla reazione emotiva di chi ascolta. L’avventuriero non cerca di convincere la Regina cattolica con argomenti economici, politici o sociali. In fondo Isabella ha già potere, ricchezza, prestigio sociale, quindi qualunque argomento razionale inserito in questo contesto non avrebbe avuto una grande efficacia.

Può sembrare un espediente facile da individuare, ma anche nella comunicazione utilizzata nella nostra società occidentale vengono talvolta divulgate informazioni puramente irrazionali, ma che hanno una grande presa al livello emotivo. Perché sono esattamente le cose che siamo disposti a credere, ciò in cui vogliamo credere, in particolare perché abbiamo emotivamente necessità di convincerci che viviamo in un mondo sostanzialmente giusto. Questo significa che siamo inconsapevolmente portati a credere, il più delle volte, che chi subisce una forma di violenza psicologica in famiglia, in fondo deve pur aver fatto qualcosa di male per meritarsela. E se la vittima prova ad accusare con argomenti razionali le aggressioni subite da un uomo violento, quest’ultimo potrà difendersi utilizzando una comunicazione emotiva, di per se molto più convincente, quindi efficace.

Chi ha fatto un viaggio a Tenerife, isola delle Canarie ove il navigatore genovese fece approdo per rifornirsi prima di affidarsi all’oceano inesplorato, probabilmente è venuto a conoscenza della storia di un grande amore.

A Tenerife c’è una donna di una bellezza straordinaria, è stata sposata con un uomo che è stato ucciso durante un tentativo di insurrezione. Colombo approda sull’isola solo per fare rifornimento di viveri ed acqua prima di orientare le prue verso ovest, ma conosce questa donna e se ne innamora perdutamente, tanto da ritardare la partenza. La scoperta dell’America è avvenuta con qualche giorno di ritardo. Oppure l’episodio non è relativo al suo primo viaggio, perché a Tenerife raccontano che si è fermato tre settimane in più del previsto.


giovedì 17 ottobre 2013

Parassiti sociali nei luoghi di lavoro



Ripartiamo da questo fondamentale concetto: durante la guerra, una delle prime cose che è necessario fare è individuare chi realmente è a capo dello schieramento nemico

Non è affatto semplice perché nella violenza perpetrata con la strategia delle sistematiche vessazioni, psichiche e morali, il burattinaio si nasconde e lascia che agiscano altri. 
Ci sono delle personalità che, per la loro stessa natura, tendono ad operare al di fuori delle regole di civile convivenza. Se possibile è necessario studiare ed analizzare il loro comportamento, perché tutto ciò ci potrebbe permettere di comprendere chi tira realmente i fili della vicenda. 

Una di queste personalità da tenere sotto controllo possiamo chiamarla il “Free Rider”.

La logica del Free Rider (scroccatore, parassita) è quella del comportamento illecito in cui l’estremo egoismo spinge l’individuo a ricercare sempre il massimo vantaggio, con conseguente azzeramento dei costi. Un comportamento puramente razionale volto alla massimizzazione dei benefici e finalizzato alla sola realizzazione dei suoi illegittimi interessi personali.

Immaginiamo, ad esempio, che in una piccola comunità ricreativa quale un Circolo delle bocce, i soci decidano di raccogliere denaro per far installare un impianto di ventilazione e condizionamento; il Free Rider sarà quel soggetto che non parteciperà economicamente alla colletta, perché sa benissimo che, dopo, potrà comunque beneficiare dell’innovazione senza sostenerne i costi.
Dall’esempio emerge che il comportamento tipico del Free Rider è basato su una logica opportunista. Lui non realizza nulla per sua iniziativa, sfrutta le strutture e le opportunità che altri hanno creato. Non si espone, non rischia in proprio, agisce da organismo parassita, un vero parassita sociale.

Le caratteristiche del “Mediatore criminale” descritte in un precedente post, e del “Free Rider” possono essere rappresentate dallo smisurato desiderio di affermazione nella comunità sociale. Sono soggetti che non hanno progetti professionali, disegni politici di innovazione, non propongono percorsi sociali ed economici innovativi, in grado di ammodernare e migliorare la società tutta, anzi sovente sono degli acerrimi conservatori. Poiché sono riusciti a raggiungere una posizione ove poter esercitare dinamiche di potere, per loro ogni cambiamento nasconde un’insidia, la possibilità che la nuova configurazione possa penalizzarli, favorendo qualcun altro. Per questo motivo tipicamente esercitano un ipercontrollo sulle persone e sulle situazioni.

Allo stesso tempo, com’è intuitivo, queste stesse persone disprezzano le utopie, i progetti avveniristici, l’integrazione sociale di culture diverse, gli sviluppi tecnologici, la comunicazione creativa finalizzata allo scambio produttivo di informazioni. Ostentano spregiudicatezza. 

Un’altra strategia di affermazione dei Free Riders consiste nell’insediarsi in organizzazioni prive di una loro storia documentata. In questo modo lo sfruttamento delle risorse a fini personali è più facile perché, tramite una studiata destorificazione degli eventi, è possibile riscrivere, rimaneggiare le origini, le tradizioni, le consuetudini, le esperienze maturate dal gruppo di lavoro. Per ottenere questo risultato è contemporaneamente necessario liberarsi dei collaboratori più esperti, quelli con più anni di servizio, isolare gli oppositori, mortificare gli antagonisti, inserire forze nuove non in grado di percepire il condizionamento, così da poter essere opportunamente manipolate anche contro i collaboratori più lavorativamente preparati, esperti.

Il Free Rider è sostanzialmente un manipolatore, da una rappresentazione di sé indipendentemente dagli eventi e dalle persone presenti, cerca di imporla per come lui percepisce la realtà, così riesce a sfruttare i rapporti sociali per autoconvincersi. Le relazioni che realizza, quando viene promosso in una posizione di potere, sono di tipo manipolativo. Sono relazioni incentrate sul fine, nemmeno tanto nascosto, di poter dominare gli altri, averli in pugno.

domenica 13 ottobre 2013

Sul perché tipicamente i narcisisti usano il discredito




L’obbiettivo delle calunnie, dei pettegolezzi, delle dicerie maligne, del discredito in generale è principalmente quello di impedire che gli altri si immedesimino, si identifichino con la persona individuata come bersaglio della violenza.

Se avete osservato come vengono accuratamente scelti i personaggi delle pubblicità televisive, avrete sicuramente anche notato che la casalinga che usa il detersivo migliore degli altri non è un sex symbol, non la vestono come una Bond-girl, non ha le unghie laccate o i capelli acconciati all’ultima moda. La scelta dei personaggi delle pubblicità sfrutta il potere di immedesimazione.

Io che ho appena finito gli studi e sto per entrare nel mondo del lavoro, possibilmente realizzando al contempo una famiglia, mi sentirò molto più simile ad un ragazzo/a con la mia stessa età, con il mio stesso linguaggio, con la mia stessa disponibilità di tempo, con il mio stesso modo di vestire e di comunicare. Quindi sceglierò il telefonino, l’automobile, le scarpe in base alle attenzioni che pongo in colui/lei che mi assomiglia, che è più inserito di me nel mondo del lavoro, che ha già formato una famiglia, anche se da poco.

Il Potere dell’Immedesimazione è un potere utilizzabile da chiunque. Il discredito mirato, quindi, serve ad impedire che qualcuno possa utilizzare questo potere.

Il discredito però serve anche a distrarre in modo subdolo, sfuggente, così da distogliere le capacità di analisi degli interlocutori dai veri problemi, dalle reali dinamiche di potere in atto, dando loro in pasto notizie paradossali, ambigue, ridicole, incoerenti, illogiche ed emotivamente coinvolgenti.

Quando un narcisista estremo utilizza questo tipo di comunicazione sta preparando il terreno ad un attacco. E’ un primo segnale che viene sì abilmente occultato ma che, in modo intuitivo, molti di noi hanno appreso a riconoscere.

Nella manipolazione perversa l’arrampicatore, il parassita, l’egoista smisurato, negano i loro veri obiettivi, non potrebbero fare diversamente, perché divulgare le loro perfide strategie e le loro smisurate ambizioni gli farebbero perdere il consenso sociale di cui hanno estrema necessità. Quindi raccontano una realtà costellata di menzogne e mezze verità, negando il conflitto nel modo più categorico, descrivendo ambienti di lavoro e relazioni interpersonali frutto solo della loro sfrenata fantasia. Un comportamento riconducibile alla malafede.

E’ certo che, il narcisista estremo che ha stravolto l’organizzazione del lavoro per ricavarne un vantaggio personale a scapito dell’interesse dell’unità produttiva, non andrà in giro a raccontare cosa ha combinato, anzi farà in modo di curare la propria immagine per apparire serio allo stesso modo di chi ha amministrato in modo coscienzioso, da buon padre di famiglia.

Colui che riceve l’insieme dei messaggi denigratori percepisce inizialmente elementi contraddittori, avverte una condizione di disagio perché riconosce la marcata ambiguità, la strumentale falsità. Successivamente poi avviene la presa di coscienza della fallita manipolazione perversa, del rifiuto che abbiamo finalmente posto al condizionamento, della ribellione ad una condizione di moderna schiavitù mentale. E’ questo il momento in cui l’aggressore ha necessità di amplificare la diffusione di maldicenze sul nostro conto, perché ora deve ostacolare la diffusione delle informazioni e, se non può raggiungere la certezza che riuscirà ad impedirci di informare, preferirà saturare tutti i canali comunicativi con il discredito, la calunnia, le maldicenze nei nostri confronti. Il narcisista perverso deve impedire ad ogni costo che la vittima risulti credibile, attendibile nelle sue accuse.

Questa strategia viene perpetrata nel tempo perché è estremamente difficile da ostacolare. Ad esempio, se ci accusano di avere una compagna o un compagno che ci tradisce, serve a ben poco sostenere con determinazione il contrario. Anzi è molto più probabile che la perversione altrui porti tensioni all’interno della coppia. Perché, a quel punto, ogni minuzia, ogni inezia risalterà ai nostri occhi, la stessa minuzia, la stessa inezia a cui non avremmo fatto caso in passato.


sabato 12 ottobre 2013

Perché utilizzare una Consulenza Tecnica





Nel Codice di Procedura Penale la Consulenza Tecnica e la Perizia sono considerate a tutti gli effetti mezzi di prova. 

E’ bene fin da subito fare una netta distinzione: la Consulenza Tecnica è richiesta dalle parti, mentre la Perizia è richiesta dal Giudice. 

Quando la persona offesa dal reato, oppure il Pubblico ministero, o anche l’Imputato, per poter sostenere le proprie ragioni hanno necessità di una valutazione tecnica, scientifica oppure artistica dei fatti accertati, possono ricorrere ad un Consulente, specialista nella materia. Allo stesso modo il Giudice, per eventualmente approfondire l’argomento trattato o per una eventuale valutazione ulteriore, può richiedere una Perizia ad un Perito da lui nominato, sempre specialista nella materia.

Al Consulente Tecnico, oppure al Perito, viene chiesto di valutare gli elementi di prova già acquisiti. Queste figure non hanno i poteri della polizia giudiziaria, quindi tecnicamente non svolgono indagini, ma descrivono l’evento sulla base della loro particolare competenza in materia, indicando conclusioni che, talvolta, possono essere controintuitive, oppure evidenziare elementi di reato in fatti che sembravano irrilevanti.

Se si decide di affrontare la battaglia tramite una denuncia alla Magistratura è bene richiedere la Consulenza Tecnica perché, l’accertamento della responsabilità penale, quando si deve affrontare la violenza perpetrata con la strategia delle sistematiche vessazioni, psichiche e morali, attuate per motivi di lavoro, richiede notoriamente il possesso di cognizioni tecniche, esperienza ed abilità metodologiche che, come non possono essere presunte nella persona del Giudice, così possono non essere proprie del Pubblico Ministero. La finalità nascosta della violenza perpetrata con la strategia delle sistematiche vessazioni è l’indebolimento delle difese psicologiche della vittima designata, quindi la manipolazione della sua volontà, così da privarla della sua identità culturale e sociale, per poi isolarla dalla comunità professionale e dalla collettività, il tutto tramite più azioni ed omissioni, talvolta singolarmente insignificanti, ma nell’insieme estremamente pregiudizievoli. Quindi la vittima di questa forma di violenza, di iniziativa dovrebbe preferibilmente richiedere quantomeno una Valutazione Medico Legale, in base a quanto indicato dalla Corte Costituzionale con la Sentenza n. 33 del 11.02.1999 che riporta: “La consulenza extraperitale è suscettibile di assumere pieno valore probatorio non diversamente da una testimonianza e che pertanto il Giudice non è vincolato a nominare un Perito qualora le conclusioni fornite dai consulenti di parte gli appaiano oggettivamente fondate, esaustive e basate su argomenti convincenti”.

E’ necessario dedicare molta attenzione a questa iniziativa, perché sovente nelle aule di giustizia è difficile ricreare il clima di ostilità che, al contrario, viene abilmente e subdolamente organizzato nel contesto lavorativo. Cosicché le aggressioni subite, ripetute ad un Giudice in un contesto totalmente diverso, in un clima ove la vittima viene colpevolizzata in modo strumentale, possano rendere effettivamente l’idea della gravità della violenza.



martedì 8 ottobre 2013

Il dirigente di una struttura pubblica è tenuto a valorizzare i collaboratori




Secondo una ben consolidata giurisprudenza la dequalificazione professionale opera sempre una lesione di un interesse protetto dall’articolo 2 della Carta Costituzionale, avente ad oggetto il diritto fondamentale del lavoratore alla libera esplicazione della sua personalità nel luogo di lavoro, secondo le mansioni e con la qualifica spettantegli per Legge o per Contratto. Così, secondo i Giudici della Suprema Corte, i provvedimenti del dirigente pubblico al quale spettano i poteri di gestione (ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ultimo sia preposto ad un ufficio della pubblica amministrazione avente autonomia gestionale), che illegittimamente recano danno a tale diritto, vengono immancabilmente a ledere anche l’immagine professionale, la dignità personale e la vita di relazione del lavoratore, sia in tema di autostima nell’ambiente di lavoro e in quello socio-familiare, sia in termini di perdita di chances professionali (Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza n. 10157 del 26.05.2004; Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza n. 13299 del 16.12.1992; Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza n. 11727 del 18.10.1999).

Il dirigente di una struttura pubblica è tenuto per primo a rispettare le Leggi, a valorizzare i collaboratori e non effettuare assegnazioni eterogenee rispetto al loro ruolo professionale o volutamente riduttive del patrimonio di conoscenze e di perizia da loro globalmente negli anni acquisito. è anche tenuto a sviluppare le risorse professionali ed organizzative a lui assegnate (Decreto Legislativo n. 286 del 30.07.1999), nonché a rispettare la sfera privata del personale dipendente (Decreto Legislativo n. 196 del 30.06.2003).

Sempre secondo i Giudici vi è un principio di Diritto, più volte enunciato dalla giurisprudenza della Suprema Corte, secondo il quale, in tema di ius variandi del datore di lavoro, il divieto di variazioni in peius, sancito con norma inderogabile dall’articolo 2103 Codice Civile, opera quando al lavoratore, pur restando inalterata la sua collocazione nell’organizzazione gerarchica dell’impresa e la sua retribuzione, siano assegnate di fatto mansioni sostanzialmente inferiori, sicché nell’indagine circa tale equivalenza non è sufficiente il riferimento in astratto all’inquadramento formale, ma è necessario accertare che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza del dipendente, salvaguardandone il livello professionale acquisito e garantendo lo svolgimento e l’accrescimento delle sue capacità professionali, con le conseguenti prospettive di miglioramento professionale (Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza n. 14150 del 02.10.2002; Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza n. 2428 del 17.03.1999; Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza n. 8577 del 10.08.1999; Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza n. 10775 del 03.11.1997; Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza n. 276 del 11.01.1995). 

Tanto che è consentito al Giudice affermare che le nuove mansioni sono equivalenti alle ultime effettivamente svolte, solo quando risulti tutelato il patrimonio professionale del lavoratore, anche nel senso che la nuova collocazione gli consenta di utilizzare ed, anche, di arricchire il patrimonio professionale precedentemente acquisito, in una prospettiva dinamica di valorizzazione delle capacità di arricchimento del proprio bagaglio di conoscenze ed esperienze, ovvero il perfezionamento e l’accrescimento del corredo di esperienze, nozioni e perizia acquisite nella fase pregressa del rapporto lavorativo (Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza n. 3623 del 28.03.1995; Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza n. 9319 del 26.01.1993; Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza n. 24293 del 29.09.2008).

Per aversi dequalificazione professionale a carico del lavoratore è infatti sufficiente che il datore di lavoro, nell’esercizio del suo potere di modifica delle mansioni, non rispetti il criterio di “equivalenza” sancito dall’articolo 2103 Codice Civile ovvero, in particolare per un funzionario pubblico, sottoponga il lavoratore ad un processo di erosione di competenze o responsabilità, oppure sottragga al lavoratore le mansioni di ultima attribuzione per lasciarlo in uno stato di sostanziale inattività

La Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che l’articolo 2103 Codice Civile non ha soppresso lo ius variandi che trova la sua giustificazione in insopprimibili esigenze organizzative ed aziendali, ma si limita a regolarne l’esercizio senza alcuna deroga al potere del datore di lavoro di utilizzare o meno il dipendente in nuove mansioni per esigenze organizzative dell’impresa, sempre nel rispetto, oltreché dell’equivalenza delle nuove mansioni, della tutela del patrimonio professionale del lavoratore e della sua collocazione nella struttura organizzativa aziendale, nonché dell’esigenza che la nuova collocazione gli consenta di utilizzare ed anche di arricchire il patrimonio professionale precedentemente acquisito (Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza n. 3623 del 28.03.1995; Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza n. 276 del 11.01.1995). 

Anche la modifica quantitativa delle prestazioni, ove comporti un abbassamento del globale livello delle prestazioni del lavoratore con una sottoutilizzazione delle capacità dallo stesso acquisite e un consequenziale impoverimento della sua professionalità, sostanzia una dequalificazione professionale (Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza n. 6856 del 19.05.2001). Ed in relazione all’inattività, che costituisce fattispecie più pregiudizievole della sottrazione delle mansioni originarie con assegnazione di altre deteriori e non equivalenti, la Suprema Corte ha asserito che una violazione della lettera e della ratio dell’articolo 2103 Codice Civile si sostanzia anche quando il dipendente sia lasciato in condizioni di forzata inattività e senza assegnazione di compiti, costituendo il lavoro non solo un mezzo di guadagno ma anche un mezzo di estrinsecazione della personalità del soggetto. Coerente è pertanto l’affermazione che detta norma sia tesa a far salvo il diritto del lavoratore all’utilizzazione, al perfezionamento ed all’accrescimento del proprio patrimonio professionale (Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza n. 10405 del 04.10.1995). 

Con la stessa pronuncia la Suprema Corte ha poi sancito, in tema di riduzione quantitativa dei compiti e delle responsabilità del lavoratore, che il potere del datore di lavoro di ridurre quantitativamente le mansioni del lavoratore trova limite nell’esigenza delle potenzialità professionali acquisite o nel divieto di occasionare una sottoutilizzazione del patrimonio professionale del lavoratore, avuto riguardo non solo alla natura intrinseca delle attività esercitate, ma anche al grado di autonomia e discrezionalità nel loro esercizio nonché alla posizione del dipendente in azienda, sicché deve ritenersi vietata una modifica delle mansioni assegnate al dipendente che, pur se di carattere quantitativo, si traduca in un sostanziale declassamento del dipendente stesso (Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza n. 10405 del 04.10.1995; Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza n. 10284 del 04.08.2000; Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza n. 7967 del 01.06.2002).

E’ necessario anche precisare che la Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la Sentenza n. 4774 del 06.03.2006, in materia di reiterate azioni ostili inquadrabili come una forma di terrorismo psicologico, ha chiarito che non occorre poi una specifica inadempienza contrattuale o una violazione di norme a tutela del lavoratore subordinato. Il terrorismo psicologico in ambito lavorativo sussiste semplicemente se la condotta del datore di lavoro ha assunto nel tempo sufficiente idoneità offensiva, e di natura vessatoria tale da comportare una lesione dell’integrità psicofisica e della personalità morale del lavoratore. La Suprema Corte ha espressamente fatto riferimento all’articolo 2087 Codice Civile, laddove vincola l’imprenditore ad adottare tutte le misure che, secondo la particolarità della prestazione, sono idonee a rispondere all’obbligo di sicurezza delle condizioni di lavoro. Occorre dunque riscontrarsi una condotta protratta nel tempo e con le caratteristiche della persecuzione finalizzata all’emarginazione del dipendente, e la stessa può realizzarsi con comportamenti datoriali, materiali o provvedimentali, indipendentemente dall’inadempimento di specifichi obblighi contrattuali o dalla violazione di specifiche norme attinenti alla tutela del lavoratore subordinato.


lunedì 7 ottobre 2013

Iura novit curia





L'espressione latina Iura novit curia (il Giudice conosce le Leggi) indica un fondamentale principio del diritto processuale moderno in virtù del quale le parti possono limitarsi ad allegare e provare i fatti costituenti la controversia, fatti che il Giudice saprà interpretare. Al contrario i riferimenti di Legge non devono essere indicati al Giudice, perché egli li conosce a prescindere da ogni attività dei contendenti o dalla complessità degli eventi accaduti.

Purtroppo per poter sostenere davanti ad un Magistrato la violenza psicologica subita, in concreto è necessario non affidarsi a tale principio, perché è una forma di violenza che, sovente, viene disconosciuta nelle aule di giustizia.

Per poter dimostrare l'esistenza della violenza perpetrata con la strategia delle sistematiche vessazioni, psichiche e morali, è necessario fin da subito indicare nella denuncia i riferimenti al Codice Penale che si ritiene violati. Agire diversamente significa offrire il fianco all'avversario.


domenica 6 ottobre 2013

Community dedicata su Google+





Nonostante io non sia un esperto, credo di essere riuscito ad attivare una Community su Google+ dedicata alla discussione ed allo scambio di idee utili per cercare di reagire alla violenza psicologica.

Lo spazio virtuale ha il nome “Guerra psicologica per motivi di lavoro” e, per potervi accedere, è necessaria una unica condizione: non essere dei narcisisti perversi.

Suggerisco questa procedura. Per prima cosa è preferibile attivare un indirizzo e-mail “coperto”, ovvero con un nome di fantasia. In caso di difficoltà è possibile utilizzare le istruzioni “Crea un nuovo account Google” disponibili nel Web. Successivamente, per chi non lo avesse già fatto, è preferibile attivare l’opzione “Accedi” presente in questo Blog www.guerrapsicologicasullavoro.blogspot.com per diventare lettori fissi. Il comando “Accedi” si trova in basso, sulla colonna di destra, subito dopo il testo “Riservatezza”. Fatto questo, rimane solo la necessità di registrarsi in Google+ e nella Community “Guerra psicologica per motivi di lavoro”.

Se ho detto delle inesattezze vi prego di comunicarmelo alla mail box patroclo.due@gmail.com

Come avrete notato non è possibile fare commenti ai post. E’ stata una scelta precisa, perché lo scopo di questa iniziativa è far comprendere e divulgare l’esistenza della violenza perpetrata con la strategia delle sistematiche vessazioni, psichiche e morali, attuata per motivi di lavoro, ed i commenti avrebbero potuto rendere difficoltosa la consultazione. Con la Community dedicata si pone rimedio a questa carenza, senza appesantire la lettura del Blog.

La Community non è moderata, né in alcun modo da me controllata. E’ uno spazio riservato per la comunicazione costruttiva.