venerdì 31 gennaio 2014

Sono venuto a seppellire Cesare, non a tesserne l’elogio



Amici romani, concittadini, prestatemi orecchio; sono venuto a seppellire Cesare, non a tesserne l’elogio”, così esordisce Marco Antonio dopo che Bruto ha spiegato al popolo romano le sue motivazioni. 

Siamo nella Roma descritta da William Shakespeare nel “Giulio Cesare”. E’ il 15 marzo del 44 a.C. e Gaio Giulio Cesare (Gaius Iulius Caesar) è stato appena assassinato da un gruppo di congiurati, tra cui Marco Giunio Bruto (Marcus Iunius Brutus Caepio). Bruto ha appena spiegato alla folla le ragioni del gesto, e la folla lo acclama: 
  • (Bruto) – “Io mi traggo in disparte perché, così come ho ucciso l’amico mio prediletto per il bene di Roma, ho in serbo per me lo stesso pugnale …”.
  • (Insieme dei cittadini) – “Vivi Bruto! Vivi!”, “Portatelo a casa sua in trionfo!”.

Ora Marco Antonio, se vuole impedire che il potere sia così conquistato dai congiurati, deve compiere un capolavoro di retorica, perché Bruto ha esposto il suo amore per la comunità sociale “… non amavo Cesare da meno, ma amavo Roma di più”. 

Bruto ha raccolto la benevolenza della popolazione ponendo il dilemma: avreste preferito Cesare vivo e voi schiavi, o Cesare morto e voi uomini liberi? E posta così la questione è facile intuire la risposta dei plebei.

Nella tragedia shakespeariana Bruto è un oratore formidabile. Ha appena usato un atto di violenza contro un uomo molto potente e parla per primo alla popolazione. Ma il comportamento “rispettoso” di Bruto gli impone di consentire anche a Marco Antonio di parlare allo stesso pubblico e, quest’ultimo, sa che non avrà altra occasione per rovesciare la situazione.

In questo contesto William Shakespeare inserisce uno dei più celebri ed appassionanti atti di teatro che siano arrivati sino a noi: il discorso di Marco Antonio.

  • (Marco Antonio) – “Egli era mio amico, era fedele e giusto verso di me; ma Bruto dice che era ambizioso, … e Bruto, è uomo d’onore”.

Ma come? Bruto vi ha appena detto che Cesare era ambizioso, però vi ricordate che ha portato da noi tanti prigionieri il cui riscatto in denaro è andato a riempire le casse dello stato. Cos’è, ambizione questa? E quando avete sofferto, Cesare era a soffrire insieme a voi. Alla festa dei Lupercali non gli ho passato per tre volte una corona che lui ha rifiutato? Ma di quale ambizione parla Bruto? Voi ne avete memoria?

Marco Antonio attacca direttamente la tesi dell’avversario. 

Bruto dice che Cesare era ambizioso ma, sebbene io abbia una grande considerazione per lui, vi dimostro che la sua tesi è falsa.

Il colpo di genio arriva con l’espediente del testamento. Cesare è stato appena ucciso, come fa Marco Antonio ad avere il testamento già disponibile per poterlo mostrare al pubblico? E' andato a casa di Cesare, ha rovistato nel suo studio e poi è corso di nuovo in piazza? Non lo sappiamo, ma appare inverosimile. A meno che il testamento non sia solo un espediente dialettico utilizzato per demolire la credibilità di Bruto ed orientare la plebe contro di lui. Infatti Bruto parla degli interessi generici di Roma, entità astratta, non ben identificabile da ogni singolo cittadino. Enorme. Roma nel 44 a.C. è il centro del mondo. 

Mentre Bruto dice che la collettività ha beneficiato dalla morte di Cesare perché ora gli uomini sono liberi, Marco Antonio parla di una eredità diretta al singolo cittadino “E’ bene che voi non sappiate di essere i suoi eredi; perché, se lo sapeste, che cosa ne uscirebbe?”. Non ve lo posso dire, perché farei torto agli uomini d’onore che hanno ucciso Cesare; siete gli eredi diretti delle sue ricchezze ma io non posso rivelarvi quali.

E la reazione degli uomini che lo ascoltano? “Erano traditori, non uomini d’onore! Leggi il testamento!”.

Mi interessa cosa Cesare mi ha lasciato. Non puoi tenermi in ansia. Quello che è mio lo pretendo.

Come poteva andare diversamente?

Marco Antonio con la sua retorica non agisce sull’intelletto con ragionamenti razionali, ma sulla volontà prospettando interessi, vantaggi personali.

La tesi di Bruto può anche essere equa, ineccepibile, ma accettarla per la plebe significherebbe andare contro i propri interessi particolari, perché quel testamento parla di beni, di vantaggi diretti. Finisce che il popolo romano trova gli argomenti ragionevoli di Bruto molto meno convincenti di quelli che Marco Antonio ha menzionato, nonostante, ad un’analisi più profonda, risultino probabilmente inconsistenti. 

Il fine ultimo di un discorso in pubblico è quello di orientare, condizionare gli uditori sul piano emotivo. E’ la nostra mente che è così. Siamo convinti di agire per puro raziocinio ma, in realtà, non è vero. Siamo manipolabili. Ciò che ci danneggia, appare assurdo.

domenica 19 gennaio 2014

La menzogna nelle persone psicopatiche perverse




Nella maggior parte di noi c’è un limite, una separazione netta tra la verità e la bugia. In condizioni di normalità tendiamo a rappresentare la realtà così come la percepiamo, senza alterazioni volontarie. E’ vero che, talvolta, per brevità, non raccontiamo tutti i particolari, oppure omettiamo aspetti che non ci sembrano importanti, significativi, ma è solo per andare incontro alle esigenze del nostro interlocutore, per non annoiarlo con dettagli inutili, superflui. E’ anche vero che la realtà che tendiamo a descrivere non è esattamente la realtà “vera”, ma quella da noi percepita, oppure quella che ricordiamo. In ogni caso lasciamo agli altri la libertà di trarre loro una morale su quanto accaduto, senza influenzarli. 

Alcuni hanno un modesta propensione a comunicare. Sono persone naturalmente riservate, non parlano, non raccontano eventi, preferiscono tenere per loro stessi anche gli argomenti che potrebbero interessare la famiglia, gli amici, il loro gruppo di lavoro. Per altri l’aspirazione al contatto umano, la voglia di stabilire un legame, il desiderio di conoscenza, costituiscono nel loro insieme una spinta formidabile a relazionarsi con gli altri. La comunicazione in entrambi i casi non è strumento di manipolazione, ma solo il mezzo che consente un rapido e chiaro scambio di informazioni ed emozioni. Perché mentire? Non c’è ragione.

Per quanto in minoranza, vi sono persone che, al contrario, utilizzano sistematicamente la menzogna per manipolare. 

Mentre per una mente sana la falsità è associata comunque ad una qualche forzatura psicologica, per la personalità psicopatica non vi è un confine netto tra verità e menzogna; poiché utilizza la comunicazione per manipolare e non per descrivere la realtà, una tale commistione gli permette di rendere maggiormente penetrante il condizionamento. 

Non sono menzogne inverosimili, non è la pura verità, bensì una comunicazione in grado di amplificare certe convinzioni dell’interlocutore in modo da portarlo a credere veri eventi inesistenti. 

Mentre la persona sincera deve superare un blocco interiore quando deve rappresentare una realtà che sa di essere falsa, perché talvolta mentire è comunque necessario; per la personalità psicopatica perversa non c’è separazione tra verità e finzione, quindi per lei mentire in una comunicazione interpersonale è la cosa più naturale del mondo. E se vengono scoperti hanno la faccia di cercare di convincere l’altro che non hanno mentito, ma è la realtà ad essere stata da loro mal interpretata. Per questo il diffidare è un meccanismo di difesa che non deve essere disinserito, mai e poi mai.

giovedì 16 gennaio 2014

Risorse a costo zero per gli animali meno fortunati



Albert Einstein diceva che un buon scienziato “… deve pensare almeno mezz’ora al giorno il contrario di quello che pensano i suoi colleghi”. 
Ora vi illustro un’applicazione di questo concetto calata nella realtà quotidiana di gran parte di noi.

In base all’articolo 45 del Decreto Legislativo n. 81 del 09.04.2008, le attività produttive presenti nel territorio della Repubblica Italiana devono dotarsi di attrezzature per il primo soccorso. L’obbligo è poi precisato ulteriormente dal Decreto Ministeriale n. 388 del 15.07.2003, che prevede la classificazione delle attività produttive in tre grandi gruppi a seconda di alcuni parametri espressamente indicati.

Normalmente utilizziamo l’espressione “primo soccorso” per indicare quelle attività che permettono di aiutare immediatamente una o più persone in difficoltà nell’attesa dell’arrivo dei soccorsi qualificati, oppure per piccole medicazioni. Il “pronto soccorso” è, pertanto, quell’insieme di azioni che vengono svolte da personale qualificato ai fini di risolvere una situazione di emergenza o urgenza. 

Per le unità produttive con maggior rischio, la dotazione di primo soccorso (Cassetta di primo soccorso) comprende grossomodo questo elenco di presidi:
  • Guanti sterili monouso 
  • Flacone di soluzione cutanea di iodopovidone al 10% di iodio da 1000 ml
  • Flaconi di soluzione fisiologica (sodio cloruro - 0,9%) da 500 ml
  • Compresse di garza sterile 10x10 in buste singole 
  • Compresse di garza sterile 18x40 in buste singole
  • Teli sterili monouso 
  • Pinzette da medicazione sterili monouso
  • Confezione di rete elastica di misura media
  • Confezione di cotone idrofilo
  • Confezioni di cerotti di varie misure pronti all'uso
  • Rotoli di cerotto alto 2,5 cm
  • Forbici
  • Lacci emostatici
  • Ghiaccio pronto uso
  • Sacchetti monouso per la raccolta di rifiuti sanitari
Per le unità produttive con meno di tre lavoratori, la dotazione di primo soccorso (Pacchetto di medicazione) comprende a grandi linee un elenco di presidi leggermente inferiore alla Cassetta di primo soccorso. 

Questo significa che, all’incirca ogni 30 mesi, è necessario sostituire i presidi in scadenza. Un esempio è il flacone di soluzione cutanea di iodopovidone al 10% di iodio che ha un periodo di validità simile, ma essendo sostanza che non può essere smaltita come normale rifiuto urbano, è necessario riconsegnare il flacone negli appositi contenitori per farmaci scaduti, oppure pagare per lo smaltimento quando si tratta di discrete quantità.

E’ possibile trasformare il problema in opportunità seguendo questo ragionamento.

Se il flacone di iodopovidone al 10% di iodio da 1000 ml lo sostituisco 50 giorni prima della scadenza, io avrò comunque la Cassetta di primo soccorso in ordine, ed il prodotto per la medicazione avrà sostanzialmente svolto il suo ruolo per il tempo previsto. In più, però, avrò la possibilità di donarlo ad esempio ad un Canile municipale, oppure ad una struttura simile per la protezione e la cura degli animali, ove verrà certamente utilizzato come sua destinazione originale. In questo modo quello che sarebbe destinato a rifiuto potenzialmente inquinante e, forse, addirittura costoso, diviene una risorsa se impiegato poco prima della scadenza indicata dal fabbricante. Perché 30 mesi sono 900 giorni e, se sottraiamo 50 giorni, la differenza è veramente minima.

Immaginate una struttura ospedaliera, un centro commerciale oppure un aeroporto con decine di Cassette di primo soccorso e Pacchetti di medicazione che potrebbero essere recuperati solo sostituendoli un po’ prima. Immaginate non solo il minor carico di rifiuti speciali per l’ambiente, ma anche i benefici per chi cura animali con sempre meno risorse.

Basta organizzarsi, perché tutto questo è a costo zero.

domenica 12 gennaio 2014

Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne




Le Parti adottano le misure legislative e di altro tipo necessarie per garantire che le autorità incaricate dell’applicazione della legge affrontino in modo tempestivo e appropriato tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione, offrendo una protezione adeguata e immediata alle vittime. 

Le Parti adottano le misure legislative e di altro tipo per garantire che le autorità incaricate dell’applicazione della legge operino in modo tempestivo e adeguato in materia di prevenzione e protezione contro ogni forma di violenza che rientra nel campo di applicazione della presente Convenzione, ivi compreso utilizzando misure operative di prevenzione e la raccolta delle prove. 

Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per consentire alle autorità competenti di valutare il rischio di letalità, la gravità della situazione e il rischio di reiterazione dei comportamenti violenti, al fine di gestire i rischi e garantire, se necessario, un quadro coordinato di sicurezza e di sostegno.
Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che la valutazione di cui al parafrafo 1 prenda in considerazione, in tutte le fasi dell’indagine e dell’applicazione delle misure di protezione, il fatto che l'autore di atti di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione possieda, o abbia accesso ad armi da fuoco. 

Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che le autorità competenti si vedano riconosciuta la facoltà di ordinare all’autore della violenza domestica, in situazioni di pericolo immediato, di lasciare la residenza della vittima o della persona in pericolo per un periodo di tempo sufficiente e di vietargli l’accesso al domicilio della vittima o della persona in pericolo o di impedirgli di avvicinarsi alla vittima. Le misure adottate in virtù del presente articolo devono dare priorità alla sicurezza delle vittime o delle persone in pericolo. 


Estratto dagli articoli 50, 51 e 52 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne), dell'11.05.2011.

venerdì 10 gennaio 2014

Il campione cerca sempre di migliorare



Non l’ho mai visto di persona. Non sono mai stato a vedere un Gran Premio di Formula 1, ma è stato lo sportivo che ha accompagnato i miei sogni di ragazzo. Guidava una macchina rossa ed aveva il numero ventisette.

Aveva tredici anni più di me, lui era nato in gennaio, io in giugno, ma abbiamo sempre avuto una cosa in comune: il coraggio di andare oltre le difficoltà per migliorare il nostro lavoro, la nostra passione.

Una volta in Olanda, era il 1979, mentre lottava per la prima posizione, buca lo pneumatico della ruota posteriore sinistra. Ed anziché rallentare e portare la macchina ai box per la sostituzione del battistrada, lo vediamo proseguire praticamente su tre ruote, correndo come se non fosse cambiato nulla. Ai box ci arriva, ma con il cerchio della ruota e la sospensione distrutti. Macchina ferma. Impossibile proseguire. Ma per chi come me è davanti ad un televisore, quello diviene uno dei momenti memorabili di tutta la storia dell’automobilismo sportivo.

Pochi giorni prima, in Francia, lui era secondo a pochi giri dalla fine della gara. Un avversario lo sorpassa in rettilineo potendo contare su una macchina oggettivamente più veloce, ma alla prima curva è di nuovo davanti. Frena in ritardo e, con la macchina leggermente di traverso, riesce a recuperare quella traiettoria che impedisce all’avversario di mantenere il vantaggio. Seguono due giri dove i due fanno letteralmente a ruotate per contendersi il secondo posto, con sorpassi, uscite di strada e controsorpassi. Alla fine la macchina rossa è davanti. In realtà la gara la vince un altro, ma non interessa niente a nessuno.

E in Spagna? Quando per ottanta giri tiene dietro cinque avversari con macchine sicuramente migliori? Ottanta giri in testa e la coda dietro di lui. Piloti che, uno dietro l'altro, non riescono a superarlo per una intera gara.

In Canada, sulla pista bagnata, ha fatto una cosa letteralmente "impossibile". La rossa ha un alettone anteriore che serve per spingere il muso verso il basso e dare aderenza alle ruote. Lui urta questo alettone che si rompe solo parzialmente, mettendosi di traverso sul muso ed impedendogli la visibilità. Inizia lo spettacolo. Senza poter vedere l'orizzonte segue le tracce che lasciano le altre macchine davanti a lui e gira a velocità elevatissime. Dopo un po' l'alettone si rompe del tutto e si stacca, e lui sale sul podio a fine gara. Terzo per la classifica, primo nel cuore dei tifosi. Un mito. 

Quando si ritirava per un incidente, spegnevamo la televisione. L’interesse era finito. La gara era lui.

Perché ai miei occhi lui era immortale. Non poteva farsi male. Sarebbe potuto capitare a tutti ma non a lui.

Quella volta al Gran Premio d’Italia ce lo aveva dimostrato. Gli scoppia uno pneumatico a 280 km/h, sbatte contro un muro e distrugge la macchina. Ma salta fuori dall’abitacolo un istante dopo e non ha un graffio. 

A me piace ricordarlo così. Una persona che ha sempre dato il massimo in ogni cosa ma senza rinunciare ai suoi valori di uomo. Lo ammiravo. Non si dava mai per sconfitto.

Il 18 gennaio è il suo compleanno.

martedì 7 gennaio 2014

I diritti delle madri sole



Poiché è molto difficile dar loro un volto, le madri sole spesso rappresentano una categoria demografica trascurata. Le madri sole possono avere età molto diverse, talvolta più di quarant'anni di differenza, e provenire dai più disparati contesti socioeconomici. Non possono, quindi, contare su un gruppo di pressione ben identificabile e visibile che possa perorare la loro causa dal momento che le politiche si ripercuotono in modo diverso su ciascuna madre.

In Europa, la percezione delle madri sole e le politiche condotte in materia cambiano a seconda della regione. 

Gli Stati dell'Europa meridionale, vale a dire Italia, Portogallo, Spagna e Grecia, partono dal presupposto che sarà la famiglia allargata, su base volontaria ed a titolo gratuito, ad aiutare il genitore solo a crescere il bambino. I Paesi dell'Europa settentrionale e i Paesi nordici, come Francia, Svezia, Germania e Danimarca, invece, dispongono di un sistema previdenziale che offre alle madri sole determinate prestazioni e determinate forme di assistenza sociale. Negli Stati membri dell'Europa orientale, infine, le politiche condotte sono più variegate: alcuni restano attaccati al valore forte della famiglia retaggio dei regimi comunisti, altri combinano le politiche dei paesi settentrionali con quelle dei paesi mediterranei. 

Le madri sole fanno fatica ad organizzarsi ed a fare pressione, a causa della loro distribuzione geografica e delle differenze a livello di età e di contesto socioeconomico. 

Essere una madre sola in Europa, tuttavia, è reso ancora più difficile da uno stereotipo molto diffuso della madre sola, vale a dire l'idea che quella della madre sola sia una condizione temporanea che finirà nel momento in cui la madre troverà un nuovo partner. 

Attualmente, il 5% della popolazione femminile in Europa è una madre sola. Lo stereotipo della madre sola è normalmente, e a torto, quello dell'adolescente irresponsabile. In realtà, l'85% dei genitori soli in Europa è rappresentato da madri sole di età compresa tra i 25 e i 64 anni. 

Se la crisi economica e finanziaria ha colpito tutta la popolazione europea, a farne particolarmente le spese sono state le donne. L'impatto, poi, è stato ancor più duro per la stragrande maggioranza delle madri sole che si trovano all'inizio della loro carriera professionale, tra i 25 e i 40 anni. 

Oltre alla forbice salariale tra uomini e donne, sulle madri sole grava anche la difficile scelta tra l'assunzione di un debito e l'istruzione e l'assistenza dei figli. La natura ciclica della povertà fa si che l'elevato tasso di disoccupazione tra le madri sole si ripercuota in modo significativo sui figli a carico. Potendo contare solo su risorse limitate, infatti, i figli hanno meno possibilità di riuscire nella loro carriera scolastica e, di conseguenza, di essere competitivi sul mercato del lavoro. 

Statisticamente, inoltre, lo stato di salute delle madri sole è più precario rispetto a quello delle madri di una famiglia biparentale. Le madri sole, infatti, sono maggiormente sotto stress perché devono svolgere da sole tutti quei compiti che normalmente sono condivisi dai due genitori. Spesso, poi, non possono neanche permettersi un'assistenza sanitaria e un riposo adeguati. 

Le madri sole in Europa, infine, hanno statisticamente un'istruzione inferiore rispetto alle madri sposate. Il livello di istruzione è un ostacolo particolarmente impervio per le giovani madri sole con scarse qualifiche perché, riducendo sensibilmente le loro possibilità occupazionali, fa si che anche successivamente, senza esperienza lavorativa, dovranno accontentarsi di un posto di lavoro che non richiede grandi qualifiche. Molti dei posti di lavoro offerti alle madri sole, inoltre, sono part-time o mal retribuiti. Di conseguenza, per le madri sole è molto difficile assicurare ai loro figli uno stile di vita equilibrato o fare carriera. 


Estratto dalla Relazione sulla situazione delle madri sole – Documento (2011/2049(INI)) discusso al Parlamento Europeo in data 29.09.2011 - Commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere - Relatrice: Barbara Matera.


lunedì 6 gennaio 2014

L’Urlo di Edvard Munch





Il quadro noto come “l’Urlo” dipinto da Edvard Munch nel 1893, descrive con un’immagine il malessere profondo di un uomo che sta passeggiando con due amici.

Si tratta di un paesaggio norvegese. In particolare un ponte o una strada delimitata da una staccionata, oppure un recinto. In ogni caso è uno spazio aperto indefinito, probabilmente ai margini di un fiordo, con un declivio sul lato che arriva fino al mare. Al tramonto, che in Norvegia avviene lentamente, il cielo si colora di rosso, azzurro ed arancione, bande con contorni ondulati simili alle lingue di fuoco. Non è tanto il sole che si abbassa sull’orizzonte, ma la luce che diviene meno intensa e muta di tonalità.

Edvard è comunque solo in un luogo ove non ci sono punti di riferimento, un unico parapetto lo separa dal vuoto.

In questo contesto Edvard viene colto da un attacco di panico. Sente un urlo insopportabile provenire dalla natura, ed anche lui, coprendosi le orecchie con le mani, si mette ad urlare. Diviene partecipe di un evento che non può dominare.

I suoi due amici sono dipinti come figure nere, distanti, rigide, che restano ai margini dell’opera, che non comprendono il suo malessere profondo. Non partecipano. Non si scompongono mentre il volto della figura in primo piano è sconvolto.

Munch si rappresenta con un viso che appare una maschera più simile ad un teschio che al volto di un uomo. Con la bocca aperta in uno spasmo. Con gli occhi sbarrati. Con il corpo ondulato. Come se l’urlo della natura avesse pervaso tutto il suo organismo.

La prospettiva è falsata. Tutta la scena sembra irreale, strana, fluida, come percorsa da onde, da fluttuazioni che comunicano instabilità. La figura in primo piano ha una postura innaturale, sembra in procinto di perdere il controllo e cadere. L’intera rappresentazione è inquietante. I colori sono forti. Il rosso, alternato a colori più chiari e più scuri, esprime ed esalta l’angoscia che la figura sta provando. Ma non c’è un pericolo visibile, un aggressore, una condizione in grado di esporre a rischio la sua esistenza; Edvard percepisce questo suo orrore nel tramonto, che è fenomeno naturale, ripetitivo. E tutti possono osservare un tramonto, ma solo ad alcuni gli spazi aperti e la luce naturale al crepuscolo suscitano declino, panico.

E’ rappresentata la condizione di chi ha un male interiore che non può essere espresso a parole, ma non per questo è meno reale.