mercoledì 23 maggio 2012

La molestia sessuale come manifestazione di potere


Con il termine “molestia sessuale” si può intendere in generale “… ogni atto o comportamento indesiderato, anche verbale, a connotazione sessuale arrecante offesa alla dignità ed alla libertà della persona che lo subisce, ovvero che sia suscettibile di creare ritorsioni oppure un clima di intimidazioni nei suoi confronti”.

Detto così l'ambito sembra sufficientemente delimitato perché l’espressione “a connotazione sessuale” impone una certa demarcazione e sembra escludere dall'insieme tutti quei comportamenti indesiderati in grado comunque di generare offesa alla dignità della persona ma che, allo stesso tempo, non possono essere ricondotti tipicamente alla sfera della sessualità. 

Invece, analizzando più approfonditamente, non è affatto così.

Per quanto presente in letteratura è oramai evidente che, negli attuali ambienti di lavoro, talvolta si verificano atti di molestia portati avanti da un soggetto che non si adopera per ottenere quei favori sessuali che la prima impressione sembrerebbe evidenziare, bensì per esibire impudentemente il proprio potere, la considerazione sociale raggiunta e consolidata, per dimostrare che lui è al di sopra delle regole di civile convivenza, che nel suo ambiente trasformato in regno lui può tutto e tutto gli è dovuto. 
Il prepotente, poi, agisce così anche perché conosce bene quali difficoltà si incontrano nel tentativo di rappresentare un'aggressione emotiva con il solo linguaggio verbale.

Tale similitudine di intenti crea una sostanziale parificazione tra la molestia morale e la molestia sessuale.
Cercando di debilitare gradualmente le resistenze psicologiche della vittima entrambe vengono perpetrate in modo subdolo, per lo più con una comunicazione ambigua, violenta, paradossale, di fatto difficilmente dimostrabile; per questo ancora oggi la gran parte delle donne sessualmente molestate si trattengono e non denunciano il loro persecutore. E se le donne sono costrette a questo spetta a noi uomini intervenire perché la dignità umana venga rispettata.

venerdì 4 maggio 2012

Emarginazione



A tutti gli altri piaceva questo, ma non certo ad Era, a Poseidone e alla vergine dagli occhi azzurri; sempre avevano in odio, come prima, Ilio sacra e Priamo e il suo popolo, per colpa di Paride, che aveva offeso le dee quando nella capanna gli vennero, e lui lodò quella che gli offrì l’affannosa lussuria”.

Omero, Iliade, XXIV, 25-30, (versione di Rosa Calzecchi Onesti, Giulio Einaudi Editore Spa, Torino)



In questo passo dell’Iliade si fa riferimento al Giudizio di Paride. Del matrimonio tra Peleo e Teti (i futuri genitori di Achille), in fondo, alla dea Eris non importava granché, ma era inaccettabile l’emarginazione subita. Tra gli invitati ai festeggiamenti lei non figurava, così decise di rovinare le nozze e vendicarsi sfruttando abilmente il narcisismo di Era, Atena (la vergine dagli occhi azzurri) ed Afrodite, gettando sulla tavola una mela d’oro con inciso “Alla più bella”. Per decidere a chi andava assegnato il prezioso pomo, viste le accese dispute emotive, venne incaricato Paride che scelse Afrodite e, contemporaneamente, si inimicò le altre due.


Tra l’ampia serie di pubblicazioni che, nel tempo, si sono succedute sulla situazione emotiva che una persona sottoposta a molestie è costretta suo malgrado a dover affrontare, ce n’è una non molto conosciuta intitolata: “Il Rifiuto Danneggia? Uno Studio realizzato con la tecnica della Risonanza Magnetica Nucleare funzionale sull’Emarginazione Sociale”, lavoro pubblicato in lingua inglese sulla prestigiosa rivista americana Science in data 10.10.2003, dalla Dr. N.I. Eisenberger e dal Dr. M.D. Lieberman, University of California Los Angeles – USA, nonché dal Dr. K.D. Williams, Macquarie University, Sydney - Australia (http://www.scn.ucla.edu/pdf/Cyberball290.pdf).

Nella pubblicazione si afferma che è stata possibile verificare sperimentalmente con la tecnica RMNf una conseguenza neurobiologica dell'emarginazione sociale: l’attivazione della corteccia cingolata anteriore, ossia proprio la zona del prosencefalo umano predisposta a ricevere ed elaborare i segnali del dolore fisico. (Rivista “Science”, 2003, volume 302, pagine 290 ÷ 292)

Per “emarginazione sociale” deve intendersi la condizione esistenziale ai margini della società e di limitato riconoscimento del proprio lavoro, delle proprie qualità umane e professionali, artistiche, della propria figura individuale, del ruolo e dell’utilità all’interno della comunità sociale d’appartenenza. In genere per portare una persona a questa condizione non è necessaria una strategia complessa in quanto la calunnia, il discredito organizzato, risultano purtroppo ampiamente sufficienti.

Parlare male di qualcuno, generare discredito sfruttando la comunicazione emotiva ("Ne ha combinata una di cui non ti posso nemmeno raccontare ..."; "Non è in fondo colpa sua, ci mette tanto impegno, ma madre natura con lei è stata parsimoniosa ..."), oppure attribuirgli gravi mancanze in realtà commesse da altri, crea un’onda che verrà cavalcata anche da chi non conosce fatti e circostanze, ma sente di poter dare il proprio personale contributo mostrandosi all’altezza della situazione. Unirsi al più forte genera sentimenti di appartenenza. 
Per la vittima è una condizione psicologicamente devastante quando diviene il risultato di una elaborata strategia di sistematiche vessazioni, spesso motivata da fattori quali l’etnocentrismo, l’invidia, la gelosia professionale, dalla necessità di eliminare un possibile concorrente dalle opportunità di carriera, oppure di allontanare un lavoratore in grado di comprendere troppo bene certe disdicevoli strategie di leadership.

mercoledì 2 maggio 2012

Mantenersi in buona salute




Mantenersi in buona salute, sempre, è la prima regola per un combattente. 

Qualunque sia la tipologia di conflitto la prima regola è universale. Nella tipologia di guerra trattata in questo blog è imperativo mantenere l’equilibrio psicofisico, perché l’aggressione mira a destabilizzarlo. È una guerra subdola, non dichiarata, che prevede, per la totalità dei casi, lo scontro del più debole contro il più forte.

Ci si accorge in ritardo dell’aggressione. Ad un certo punto, quello che sembrava un conflitto temporaneo dovuto a motivazioni marginali, assume ben altro aspetto se analizzato con i criteri appropriati. Senza eventi particolarmente significativi l’aggredito si ritrova in una prigione emotiva, ove le molestie sono ripetute in modo ossessivo ed equivoco, così è costretto continuamente a rimuginare, a dubitare, a cercare una traccia per risalire alla possibile vera motivazione che ha generato il tentativo di ostracismo. La capacità di concentrazione sugli impegni lavorativi svanisce un poco alla volta ed anche portare a termine gli incarichi più semplici diviene oltremodo impegnativo. La trappola emozionale logora progressivamente l’intero organismo, per questo il mantenersi in buona salute è imperativo. 

Trovarsi improvvisamente a dover riconsiderare la realtà perché si è accesa la spia dell’emergenza, è una condizione che porta inevitabilmente ad uno shock non solo emotivo, ma anche fisico. Quando accade diviene importantissima la forza di volontà. Il desiderio di superare quanto è stato realizzato contro di noi deve poter prevalere, perché il subire passivamente è distruttivo. 

Come per chi affronta una parete rocciosa può accadere che in conseguenza di un imprevisto, un improvviso cambiamento delle condizioni atmosferiche, un’attrezzatura difettosa, sia costretto in una condizione di emergenza ove non è più in gioco solo la buona riuscita dell’arrampicata ma la propria stessa esistenza, allo stesso modo la vittima della violenza psicologica deve reagire partendo da un punto fermo: restare in vita ad ogni costo!
Non deve mai venire meno la volontà di sopravvivere, di affrontare le difficoltà con intelligenza, perché senza una tale volontà anche un eventuale aiuto esterno si rivelerebbe inutile. La situazione che può esservi capitata da gestire e risolvere, per quanto complicata, non potrà superare quella che ha dovuto affrontare l’Ing. Eugene “Gene” Kranz, il direttore delle operazioni di volo dell’Apollo 13: evento mai accaduto prima; impossibile qualunque operazione di salvataggio con altri mezzi perché luogo assolutamente irraggiungibile; difficoltà estrema da evento solo in parte conosciuto; tre persone sicuramente in pericolo di vita; enorme pressione psicologica. Eppure Gene Kranz ha riportato sulla Terra quei ragazzi.
Ed una difficoltà paragonabile era già accaduta, ad esempio, a Sir. Ernest Shackleton, la cui spedizione agli inizi del ‘900 per la traversata del Polo Sud si è trasformata in una incredibile operazione di salvataggio. Ernest Shackleton ha organizzato partite di calcio e spettacoli teatrali sul ghiaccio per non far cadere nella disperazione i suoi uomini, e li ha salvati tutti. Ora tocca a noi dimostrare che le capacità di adattamento dell’organismo e di analisi della mente umana sono straordinarie. 

Mantenersi in buona salute significa contrastare la paura, la collera, il desiderio di vendetta, l’ansia. Significa scegliere un’alimentazione adeguata, mantenere una discreta attività fisica, camminare, significa mettersi in discussione ed accettare la necessità di una psicoterapia di sostegno. Dobbiamo partire da un dato di fatto: possiamo contare solo su noi stessi perché nessuno verrà in nostro soccorso e gli amici un poco alla volta ci allontaneranno. E questo non è detto che sia propriamente un male.

Scoperta la trama è necessario decidere la reazione. Qualunque essa sia, il suo compimento sarà condizionato in modo importante dalla forza di volontà profusa. La persona sottoposta a molestie morali potrà organizzare una propria strategia difensiva, oppure scegliere di lasciare il luogo di lavoro, magari con un trasferimento in altra sede, con un cambio di incarico di pari professionalità, perfino rassegnando le dimissioni, Ma deve essere una scelta consapevole, ponderata nei minimi particolari, libera, perché la decisione lotta o fuga sarà una delle più importanti della sua esistenza ed ognuno è libero di autodeterminare la propria.

Prima di decidere la reazione è fondamentale però analizzare la strategia che ci è stata organizzata contro, in modo da poter individuare i suoi confini, elencarne le caratteristiche, riconoscere i suoi punti forti ed i punti deboli, ideare delle contromisure efficaci.

martedì 1 maggio 2012

Inizio


In questo spazio intendo contribuire ad illustrare e commentare una forma di violenza complessa basata sulla comunicazione falsa, malevola e paradossale. 

Si tratta di argomenti che potranno essere percepiti in modo diverso a seconda dell’indole di chi legge, poiché ognuno di noi non dà esattamente lo stesso significato agli eventi e non intende allo stesso modo l’esistenza umana. Anche per questo motivo intendo precisare fin da subito che i contenuti dei vari post non avranno la pretesa della scientificità né della verità storica, e non saranno riferiti a vicende o personaggi reali, saranno solo l’espressione delle mie convinzioni personali narrate avvalendomi del diritto costituzionale di manifestare liberamente il mio pensiero. 

Troveranno spazio anche altri tipi di interventi nel rispetto della natura del Blog, inteso come uno spazio comunicativo libero ove una fotografia può essere affiancata ad una citazione letteraria, ad un insieme di slide oppure ad una poesia. Il tutto spero risulti gradevole.


Questo Blog è dedicato a chi svolge il proprio lavoro con passione; qualunque esso sia.

La struttura della violenza
Volendo provare a dare una definizione formale si potrebbe affermare che: La violenza perpetrata con la strategia delle sistematiche vessazioni, psichiche e morali, attuata per motivi di lavoro, è quella forma di violenza dolosa costituita da più azioni, non necessariamente reiterate nel tempo con una cadenza costante e non dotate nemmeno di apprezzabile energia fisica, ma in grado di generare, tramite attacchi psicologici estremi, forme di assoggettamento indebito o di ostracismo, nonché far insorgere una significativa alterazione delle funzioni psicofisiche nella vittima designata. Consiste in un susseguirsi di eventi traumatici e micro traumatici, aventi come obiettivo il progressivo indebolimento delle resistenze psicologiche e come scopo la manipolazione subdola della volontà del soggetto aggredito.

In altre parole questa forma di violenza, pur basata quasi esclusivamente sulla comunicazione, è comunque in grado di far insorgere un turbamento dell’equilibrio nella psiche della vittima. Così come è possibile provocare lesioni all'organismo umano mediante una sostanza nociva e provocare una intossicazione, in modo corrispondente è possibile avvelenare a piccole gocce la psiche di un qualunque individuo mediante una comunicazione falsa, malevola o paradossale. 

Questa forma di violenza ha una sua struttura tipica che comprende:

  • l’iniziale comportamento ambiguo, paradossale, abnorme, violento o minaccioso finalizzato a destabilizzare la vittima designata; 
  • il tentativo di assoggettamento indebito;
  • la durata nel tempo di una condotta sempre più illegittima dell’aggressore quando esaminata unitariamente; 
  • la reiterazione delle azioni ostili inquadrabili come una forma di terrorismo psicologico
  • l’esaurimento delle risorse e delle capacità di reazione dell’organismo della vittima designata dopo un tentativo di resistenza inefficace; 
  • un danno da rottura dell’equilibrio psicofisico ingiustamente provocato.
Questo schema peculiare lo si può trovare anche in certi rapporti familiari ove una figura, dopo aver inutilmente cercato di debilitare e soggiogare emotivamente l’altra, incapace di accettare il mancato asservimento oppure l’allontanamento, si produce in ripetute e soffocanti azioni moleste, o addirittura traumatiche, per demolirla psicologicamente, così da appagare la propria ferita narcisistica. 

Una parte significativa delle violenze in famiglia che le donne non denunciano ha questa genesi.