sabato 10 agosto 2013

Mobbing e Codice Penale – Corrispondenza biunivoca scomoda a molti




All’indomani della Sentenza della Suprema Corte di Cassazione – Sezione V penale - n. 33624 del 29.08.2007, i principali quotidiani del Paese hanno riportato alla collettività affermazioni sconfortanti del tipo: “Il Mobbing non è reato!”. Personalmente sono convinto che la decisione della Suprema Corte di Cassazione sia stata mal trasposta dagli organi d’informazione, ma, fatto sta, ne è seguito un acceso dibattito durato per settimane. 

A questo punto mi preme chiarire che il “reato di mobbing” certamente non è presente nel Codice Penale e difficilmente lo sarà in futuro. Perché il “mobbing” è una strategia, un’arma, un metodo, un procedimento per avvelenare a piccole gocce la psiche di un qualunque soggetto individuato come bersaglio in un contesto lavorativo. Non può comparire come reato, allo stesso modo di come non può configurarsi il “reato di pistola”, il “reato di pugnale” o il “reato di veleno”. Non è l’entità atta ad offendere in se, in questo caso la comunicazione, è l’uso che se ne fa che determina la violenza. 

Per assurdo anche l’acqua, elemento preponderante nel corpo umano, può essere utilizzata come arma per uccidere. E l’acqua, presente in tutte le abitazioni, è un bene che non può essere vietato; è necessario alla nostra sopravvivenza, al nostro sostentamento. Infatti non è mai esistito e non esisterà mai il “reato di acqua”. 

Per meglio chiarire si consideri che mediante il terrorismo psicologico, è possibile portare un familiare od una collega di lavoro al suicidio. Ma il reato penale che si commette sarà il delitto di Istigazione o aiuto al suicidio – Articolo 580 Codice Penale – non sarà il “reato di mobbing”.

Dopo questa necessaria premessa è possibile abbozzare un’analisi più complessa su come denunciare la violenza perpetrata con la strategia delle sistematiche vessazioni, psichiche e morali, attuata per motivi di lavoro. Questa forma di violenza ha una sua struttura tipica che comprende:
  • l’iniziale comportamento ambiguo, paradossale, abnorme, violento o minaccioso finalizzato a destabilizzare la vittima designata;
  • il tentativo di assoggettamento indebito; 
  • la durata nel tempo di una condotta sempre più illegittima dell’aggressore quando esaminata unitariamente; 
  • la reiterazione delle azioni ostili inquadrabili come una forma di terrorismo psicologico (mobbing); 
  • l’esaurimento delle risorse e delle capacità di reazione dell’organismo della vittima designata dopo un tentativo di resistenza inefficace; 
  • un danno da rottura dell’equilibrio psicofisico ingiustamente provocato.
Questa struttura di violenza può comprendere anche iniziative riconducibili alla Diffamazione (articolo 595 Codice Penale), all’Ingiuria (articolo 594 Codice Penale), all’Abuso d’ufficio (articolo 323 Codice Penale), ovvero ad atti che, anche singolarmente, possono essere ricondotti ad un reato penale.

Se è così, a maggior ragione l’intera strategia violenta deve essere considerata, per forza di cose, un atto penalmente perseguibile.

Infatti nel nostro ordinamento la struttura di violenza così articolata:
  • una condotta violenta o minacciosa,
  • una condotta di coartazione che possa essere considerata illegittima,
  • un danno ingiustamente provocato,
è riconducibile direttamente all’articolo 610 Codice Penale - Violenza privata “Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni”.  

Nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze è possibile consultare il libro “Programma del Corso di Diritto Criminale – Parte Speciale, Esposizione dei delitti in specie”, 9ª edizione (1908), presentato alla Regia Università degli Studi di Pisa ed esposto dal Giurista Francesco Carrara (1805-1888). La trattazione del reato di “Violenza Privata” è presente nel Volume II ed è possibile leggere: “La libertà dell’uomo individuo non è l’injuriae licentia, ma quell’autonomia riconosciuta e protetta dalla Legge, in virtù della quale l’uomo deve essere rispettato nel libero determinarsi ai vari atti della vita”. Il libro non è in perfette condizioni, alcune pagine le ho separate io nel 2005 perché rimaste incollate dal fango dell’alluvione del 1966.

Nella stessa Biblioteca, nel testo del Giurista Giulio Crivellari sulla Violenza Privata è possibile leggere: “La libertà individuale è la costante facoltà dell’uomo di esercitare le attività proprie, così fisiche così morali, al servizio dei propri bisogni. Senza questo sarebbe inutile l’esistenza e la integrità personale, le quali non sono beni in loro stesse ma in quanto servano di strumento all’esercizio della attività personale”.

Il nome “Violenza Privata” deriva dal fatto che nel Codice Sardo e nel Codice Toscano (Codice Penale del Granducato di Toscana del 1853) esisteva la “Violenza Pubblica” associata alla indebita incarcerazione effettuata da un pubblico funzionario, e la “Violenza Privata” quando la limitazione della libertà veniva effettuata da un privato cittadino.

Si osservino inoltre anche le seguenti considerazioni:
  1. L’obiettività giuridica del delitto di violenza privata consiste nella tutela della libertà psichica e morale contro le costrizioni a fare, tollerare od omettere qualche cosa - la costrizione, mediante violenza o minaccia, deve essere ingiusta, cioè non autorizzata da alcuna norma giuridica - l’azione deve considerarsi unica anche in presenza di una pluralità di atti tipici, quando questi si presentino offensivi del medesimo interesse tutelato e si svolgano in unico contesto. 
  2. Per la sussistenza del delitto di violenza privata non è necessario che la condotta dell’agente sia diretta a conseguire un fine illecito; infatti il dolo consiste nella coscienza e volontà di convincere altri, mediante violenza o minaccia, a fare, tollerare od omettere qualcosa, senza che occorra il concorso di un fine particolare. 
  3. Nel delitto di violenza privata l’elemento della violenza è costituito dall’esplicarsi di una qualsiasi energia fisica da cui derivi una coazione personale - non rileva, pertanto, ne la qualità dei mezzi adoperati, ne che essi siano diretti od indiretti, di carattere materiale o psicologico, occorrendo solo l’idoneità di essi al raggiungimento dello scopo che è quello di costringere altri a fare, tollerare od omettere qualcosa. 
  4. Per violenza deve intendersi non solo quella fisica, che si esplica direttamente sulla vittima, ma anche quella impropria che si esplica attraverso l’uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui al fine di costringere l’offeso a fare, tollerare od omettere qualcosa. 
  5. Ai fini del delitto di violenza privata non occorre che la violenza sia usata direttamente sulla persona dell’offeso, ma può essere rivolta anche contro una terza persona o cadere sulle cose, quando sia idonea, seppure per via indiretta, a raggiungere lo scopo di costringere il soggetto passivo a fare, tollerare od omettere qualcosa; tale costrizione può essere realizzata con i mezzi più diversi, la cui idoneità va valutata anche in rapporto alle condizioni fisiche e psichiche del soggetto passivo che si intende privare della capacità di autodeterminazione secondo la propria libera volontà. Quando tale costrizione non si sia verificata per fatto indipendente dalla volontà del colpevole è configurabile il tentativo di violenza privata. 
  6. Ai fini del delitto di violenza privata non è richiesta una minaccia verbale o esplicita, essendo sufficiente un qualsiasi comportamento od atteggiamento, sia verso il soggetto passivo, sia verso altri, idoneo ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di subire un danno ingiusto, onde ottenere che, mediante tale intimidazione, il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od omettere qualcosa. 
  7. Ai fini del reato di violenza privata, nella nozione di minaccia rientra qualsiasi comportamento o atteggiamento intimidatorio dell’agente, che sia idoneo ad eliminare o ridurre sensibilmente nel soggetto passivo la capacità di determinarsi e di agire secondo la propria volontà indipendente. Pertanto non occorre una minaccia verbale od esplicita, essendo sufficiente un qualsiasi comportamento od atteggiamento, tanto verso il soggetto passivo tanto verso altri, idoneo ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di subire un danno ingiusto, onde ottenere che, mediante intimidazione, il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od omettere qualche cosa. 
  8. Ai fini del delitto di violenza privata non occorre una minaccia verbale o esplicita, essendo sufficiente un qualsiasi comportamento o atteggiamento intimidatorio che, avuto riguardo alle condizioni ambientali in cui il fatto si svolge, sia idoneo ad eliminare o a ridurre sensibilmente nel soggetto passivo la capacità di determinarsi ed agire secondo la propria volontà. 
  9. II delitto di violenza privata tende a garantire non la libertà fisica o di movimento, bensì la libertà psichica dell’individuo e perciò si realizza quando l’agente, col suo comportamento violento o intimidatorio, eserciti una coartazione, diretta od indiretta, sulla libertà di volere o di agire del soggetto passivo, cosi da costringerlo a una certa azione, tolleranza od omissione - presupposto essenziale del delitto è dunque la preesistenza di una libertà di determinazione e di azione di chi subisce la condotta criminosa ed il reato deve ritenersi consumato nel momento in cui il soggetto passivo, a seguito della violenza o della minaccia, sia rimasto costretto contro la sua volontà a fare, tollerare od omettere qualche cosa, mentre si ha soltanto tentativo, sempre che ne ricorrano tutti gli altri requisiti, allorché non sia stato raggiunto l’effetto voluto - questo effetto è quello che l’agente si propone di realizzare e si identifica pertanto anche nella prospettiva psicologica, con lo scopo di costringere altri a tenere un determinato comportamento, senza che abbiano rilievo rispetto a quello immediatamente perseguito, fini ulteriori o mediati e tanto meno i particolari motivi dell’azione. 
Qualora la vittima abbia maturato anche conseguenze serie sullo stato di salute, è possibile aggiungere all’articolo 610 Codice Penale anche il reato di Lesioni come conseguenza d’altro delitto (articolo 586 Codice Penale), poiché, ai fini dell’accertamento dell’elemento soggettivo nel reato di cui all’articolo 586 del Codice Penale, è superflua un’indagine specifica sulla sussistenza, in concreto, di una colpa generica, essendo sufficiente l’indagine circa la condotta esecutiva del reato doloso e circa l’assenza, nel determinismo eziologico dell’evento non voluto, di fattori eccezionali, non imputabili all’agente e da costui non dominabili.