martedì 16 febbraio 2016

Come sopravvivere su un’isola deserta - Naufrago



Non vi capiterà mai di ritrovarvi naufraghi su un’isola deserta ma, se dovesse accadere, ecco alcuni suggerimenti.

La prima cosa, la più importante di tutte in assoluto, è mantenere intatta la voglia di vivere e la speranza. E’ la regola su cui si basa tutto il resto. La volontà di sopravvivere a qualunque costo dev’essere un imperativo. Ci sono stati dei casi in cui, persone che si sono trovate in difficoltà comunque risolvibili, si sono arrese psicologicamente e non ce l’hanno fatta. Invece è necessario prendere atto delle circostanze senza drammatizzare o minimizzare. 

La vita ci ha messo alla prova? Bene, ora vedrà di che pasta siamo fatti!

E’ bene fin da subito considerare che, come esseri viventi, abbiamo necessità di alcune cose che definiamo “bisogni primari”. Sono bisogni primari quelli fisiologici come il sonno; il cibo per eliminare la fame; l’acqua per eliminare la sete; il comfort termico per eliminare il troppo freddo o il troppo caldo; l’integrità fisica ottenuta ad esempio con indumenti in grado di proteggere dalle radiazioni solari, dalle abrasioni, dagli insetti. Questa preoccupazione condiziona le prime iniziative. E’ quindi necessario esaminare con attenzione le attuali condizioni psicofisiche: Abbiamo fratture? Ferite? Respiriamo normalmente? Abbiamo la febbre? In questo esempio ipotizziamo che siamo approdati senza lesioni fisiche né malattie, per semplicità. 

In questa fase organizzativa, raccogliere tutto il materiale e le eventuali attrezzature che sono arrivate con noi a seguito del naufragio. E’ necessario esaminare tutto quanto è stato possibile recuperare per un possibile impiego. Dobbiamo mettere al sicuro tali materiali, anche se pochissimi o apparentemente inutilizzabili, quindi è necessario realizzare un rifugio di fortuna come riparo e per poterci dormire. Un rifugio di fortuna lo si può realizzare con la vegetazione del luogo o trovando un anfratto poco profondo se esistono rocce. Attenzione ad eventuali animali che potrebbero aver avuto istintivamente la stessa idea.

Anche per soddisfare la fame e la sete è necessario ingegnarsi. Il mare in genere offre la possibilità di catturare quotidianamente del cibo che dovrà essere cotto. Costruire un arco e delle frecce non dovrebbe essere troppo difficile. Per l’acqua, la si può ottenere dalla pioggia o da una eventuale sorgente interna all’isola; la si può anche ricavare dall’umidità dell’aria sfruttando la condensa. 

Per semplicità supponiamo di aver provveduto a soddisfare i bisogni primari per cui, anche se siamo sconvolti ed impossibilitati a comunicare, ora abbiamo tempo per pensare a recuperare la situazione. Non sarà una cosa breve da realizzare per cui partiamo già con l’idea che è del tutto inutile fissare scadenze temporali.

Cosa sappiamo dell’isola? La sua posizione geografica qual è? La temperatura dell’acqua del mare cambia nei mesi? Il vento tira sempre nella stessa direzione? Il vento ha un’intensità costante? Esistono stagioni secche ed altre piovose? Le stelle che vediamo di notte sono quelle del nostro emisfero? Dov’è il Nord e dov’è l’Ovest geografico? In quale fase lunare siamo? Esistono correnti marine in grado di spingere un oggetto galleggiante al largo? Quanto è alto il dislivello di marea? Quanto dura il dì e quanto dura la notte? Quanto ci mette a calare il buio dopo il tramonto e quanto rapidamente diviene giorno? Se creo un condotto tipo quello di scarico di un lavandino domestico, da che parte ruota il vortice d’acqua? …

Raccogliere informazioni è il modo migliore per adattarsi alla situazione e creare la strategia per una soluzione al problema. Perché raccogliere informazioni significa aver reagito al trauma iniziale, significa aver accettato la nuova realtà, per quanto sconveniente. Raccogliere informazioni permette di trovare il punto debole ed il punto forte di ogni dinamica; la successiva analisi ci darà la traccia che ci serve per una iniziativa mirata.

In caso di mobbing, valgono gli stessi suggerimenti.




martedì 9 febbraio 2016

Le parole fanno più male delle botte



Non è accettabile che una ragazza arrivi a togliersi la vita perché vittima di aggressioni emotive. Gli adolescenti non hanno difese contro il bullismo. Gli adulti spesso non capiscono la gravità dei fatti. E la nostra società non è strutturata per tutelare le vittime di questa forma di violenza.

Questo stato di cose va cambiato. Perché non è più accettabile che si eserciti violenza e che, le vittime, debbano anche sopportare passivamente perché denunciare non servirebbe a nulla.

I bulli devono sapere che le loro strategie sono perfettamente identificabili e che c’è la volontà di impedirgli con decisione di portare avanti le loro azioni aggressive.

venerdì 5 febbraio 2016

Attacchi ai dipendenti pubblici





Uno dei modi che conosco per capire quanto equilibrio vi sia in un Paese, è quello di osservare le parate militari e le uniformi dei comandanti.

Nell’ambito degli appartenenti alle forze armate esistono dei gesti codificati, rituali. Ad esempio il classico saluto militare. Oppure elementi codificati, come il colore dei fregi, le dimensioni ed il numero delle medaglie, il colore dei bottoni e delle mostrine delle divise. 

Il saluto militare utilizzato un po’ in tutto il mondo, consiste nel sollevare la mano destra all’altezza della fronte, con la mano tesa ed il palmo leggermente rivolto verso il viso. Il gomito deve restare molto largo ed il gesto dev’essere rapido ed energico. Pochi sanno che deriva da un gesto rituale dei Cavalieri. Infatti, nel Medio Evo, in Europa, gli elmi vennero modificati e venne aggiunta la “celata”, ovvero un piccolo schermo mobile con feritoie che andava a coprire e proteggere gli occhi.

In precedenza gli elmi realizzavano una protezione parziale del volto. Poi, per diminuire la superficie del viso esposta, gli elmi vennero realizzati con minuscole feritoie a croce in prossimità della bocca e degli occhi del Cavaliere. Poiché divenne impossibile riconoscere la persona che si aveva di fronte, tra i Cavalieri si diffuse l’usanza di sollevare l’elmo sopra la testa, impegnando le due mani, per permettere il riconoscimento del viso e, di fatto, dichiarare la propria appartenenza. Sollevare l’elmo sopra la testa significava anche compiere un gesto rassicurante, perché le mani restavano ben in vista e lontano dalle armi. Ma con l’introduzione della celata, che era mobile e si poteva sollevare con un gesto più semplice, l’apertura per gli occhi ritornò a dimensioni maggiori. L’usanza, quindi, cambiò. Non era più necessario sollevare l’intero elmo per farsi riconoscere, ma divenne abitudine sollevare solo la protezione che celava gli occhi, con il gesto della mano destra. Eliminati gli elmi, il gesto è rimasto e si mima ancora come segno di saluto e di rispetto. Per anni noi italiani abbiamo mantenuto questo saluto militare solo quando si indossi un qualche copricapo, mentre altri eserciti lo utilizzavano anche a capo scoperto (tradendone, di fatto, l’origine).

Anche indossare una medaglia sulla divisa ha un significato codificato: la persona che hai di fronte è una persona di valore. 

Esistono medaglie per chi si è distinto in battaglia, per chi ha compiuto un gesto eroico, esistono medaglie per ricordare la partecipazione ad una particolare impresa militare. In ogni caso la medaglia distingue, crea uno status, comunica rispetto, simboleggia il raggiungimento di una posizione di privilegio. 

Ma un eccesso di medaglie significa anche un’altra cosa: in quel Paese, in quella organizzazione militare, si eccede con i titoli onorifici. E questo può significare solo che si è in presenza di un regime totalitario ove, le medaglie, qualunque forma o colore abbiano, vengono elargite in abbondanza per gratificare oltremodo i ruoli di potere. Per tenerli buoni. Per non dargli motivo di ribellione. Non può essere diversamente.

In altre parole, se in un Paese che non combatte guerre da oltre un secolo, i vertici militari hanno medaglie grandi come tappi del barattolo del miele, che tappezzano l’intera giacca e parte dei pantaloni della divisa, c’è qualcosa che non va. Cosa avrà mai fatto un Generale per meritare tanta riconoscenza? Non sarà troppo facile arrivare a conquistarne una? 

Questa tecnica, talvolta, la ritroviamo negli uffici della pubblica amministrazione ma con forme diverse. Nei regimi totalitari, a chi accetta senza resistenze il condizionamento vengono affidati incarichi prestigiosi, visibilità esterna, carriere fulminee, ruoli di potere, direttivi, onorificenze e gratificazioni economiche, diplomi. In genere non vengono premiati i migliori, i più professionali, le persone più equilibrate, i talenti naturali. In genere vengono valorizzati i mediocri, coloro che non avrebbero avuto nessuna possibilità di raggiungere una posizione di prestigio professionale in un sistema realmente meritocratico. 

E, tutto ciò, ha una sua logica, anche se perversa.

Infatti, valorizzare un individuo mediocre significa assicurarsi la sua eterna riconoscenza; diversamente avrebbe tutto da perdere egli stesso. Ma significa, al contempo, non subire pericolosi confronti con persone realmente capaci alle quali vengono tarpate le ali. E’ un po’ come il colore grigio che, a seconda di come lo abbini, con colori chiari o scuri, sembra talvolta nero e talvolta bianco. Così, circondarsi di incapaci coperti di medaglie, mette al sicuro il potere del despota. 

Ma le persone senza medaglia restano comunque un potenziale pericolo. Esiste una soluzione migliore? Certo che esiste. Consiste nell’eliminarli con decisione dall’organizzazione.

Per conquistare e controllare un Paese non è necessario invaderlo con i carri armati, è sufficiente controllare in modo totale la sua pubblica amministrazione. Poiché non è moralmente accettabile eliminare dal contesto chi rifiuta il condizionamento, e poiché è opportuno mantenere e non perdere il consenso sociale, allora si avvia una compagna di discredito e demonizzazione. Essere un dipendente pubblico deve divenire sinonimo di nullafacente, querulomane, approfittatore, parassita, ignorante, incapace. Il sentimento di disprezzo che ne seguirà nella comunità sociale giustificherà l’emanazione di urgenti provvedimenti di razionalizzazione delle risorse ed allontanamento dei fannulloni.

A quel punto basterà additare il “nemico” per poi allontanarlo senza perdere il consenso sociale. E quelli con le medaglie grandi come tappi del barattolo del miele non faranno nulla per impedire il dominio, perché a loro va bene così.