Seconda
dinamica di potere
Il potere dell’integrità è
il potere legato alla fidatezza ed alla coscienziosità dimostrati.
La fidatezza è la qualità delle persone corrette,
sincere, che prendono le loro decisioni secondo i propri principi, secondo la
propria morale.
Dimostriamo la nostra fidatezza costruendo rapporti
interpersonali basati sulla fiducia, avvalorando ad ogni occasione quanto siamo
affidabili ed autentici.
A volte la fidatezza si dimostra prendendo in carico
problematiche scomode, oppure assumendo all’occorrenza posizioni di principio quand’anche
malviste dalla comunità sociale.
La coscienziosità è la qualità di coloro che ammettono
con sincerità i propri errori, di coloro che onorano gli impegni e mantengono
le promesse fatte, di chi si ritiene responsabile della conquista dei propri
obbiettivi, di chi ha organizzato con attenzione la propria esistenza ed è
impegnato e scrupoloso nel lavoro come nella famiglia.
L’integrità, ossia l’agire in modo onesto,
aperto e coerente, distingue le persone capaci di performance eccellenti in
ogni tipo di iniziativa.
Il potere è dovuto al fatto che la fiducia e la
stima che ci siamo meritati nel tempo sono le garanzie delle nostre scelte,
scelte che non esitiamo a proporre e che vengono prontamente accettate perché
considerate, fino a prova di smentita, eticamente corrette.
Consapevoli di ciò, una volta costruito il
clima di fiducia, esercitiamo tale potere quando allontaniamo da noi
comportamenti devianti oppure quando giudichiamo ammissibili innovazioni e modi
di agire non ortodossi ma corretti.
I nuovi equilibri associati al cambiamento sono
delicati, fragili, l’integrità di chi ha proposto un nuovo modo di lavorare li
rende più saldi. Subiamo tale potere quando, cercando di forzare una decisione
di per se eticamente scorretta, ci viene opposta l’integrità morale altrui.
E’ fondamentale ora evidenziare una peculiarità
propria di qualunque dinamica di potere: è possibile esercitare potere pur
senza detenere quello stesso potere.
Infatti possiamo definire potere percepito la percezione del nostro potere che gli altri
hanno. Tale percezione può essere un’immagine maggiore, autentica oppure minore
del potere da noi realmente posseduto, ma può anche essere l’immagine di un
potere inesistente come quello millantato o quello presunto.
Una qualunque dinamica di potere ci può
permettere di ottenere risultati purché ci limitiamo ad esercitare il potere percepito, ovvero sfruttando
l’immagine mentale della controparte che il nostro ambito è da noi sottoposto all’esercizio
di un’influenza o di un dominio per lo più assoluti. Siamo certamente in grado di
mantenere quanto abbiamo, magari implicitamente, prospettato.
A questo punto diventa comprensibile una delle
strategie più infide per annientare un potenziale nemico nel luogo di lavoro:
impedirgli di “prendere riputazione” (Machiavelli) utilizzando espedienti volti
a ridurre progressivamente la sua capacità di esercitare dinamiche di potere,
non tanto agendo direttamente sul potere da lui realmente posseduto ma sulla
percezione che gli altri hanno di quel potere.
Nel suo libro “Vom Kriege” (“Della Guerra”, 1832),
Carl von Clausewitz scrive: «La violenza è
dunque il mezzo; l’imposizione della nostra volontà al nemico è lo scopo. Per
raggiungere con sicurezza questo scopo dobbiamo disarmare il nemico: questo è
concettualmente l’obiettivo vero e proprio dell’azione bellica. Esso prende il
posto dello scopo e lo respinge in un certo senso come qualcosa che non
appartiene alla guerra stessa».
Quindi, nel caso del potere dell’autorevolezza, per disarmare il nemico sul luogo di lavoro
è sufficiente impedire l’aggiornamento ed evitare le opportunità per la
crescita professionale. Altro metodo consiste, da un lato, quello di impedire
lo svolgimento di attività per le quali è necessaria una specifica
professionalità in modo da negare risultati che possano creare prestigio,
dall’altro quello di nascondere o denigrare immancabilmente le azioni
professionalmente valide realizzate oppure attribuire ad altri i meriti; in
questo modo ben presto il nostro avversario non verrà più considerato un
esperto, una persona preparata. Anche la proposta di un’innovazione creativa
può essere efficacemente contrastata con un atteggiamento critico ma il metodo
più efficace consiste nel prevenire simili iniziative, con scadenze lavorative impietose,
con un ipercontrollo delle attività seguito dalla più capillare gestione di
ogni singolo aspetto, con un’assidua sorveglianza personale in grado di
evidenziare un clima di limitata libertà e scoraggiare ogni forma di
originalità.
Al pari, volendo ancora disarmare il nemico,
nel potere dell’integrità deve essere
contrastato l’instaurarsi del clima di fiducia ed il raggiungimento di una
buona reputazione professionale. Quindi il soggetto deve essere indicato come
persona particolarmente inaffidabile, irresponsabile e non coscienziosa,
qualunque risultato abbia raggiunto e qualunque atteggiamento abbia assunto; in
altre parole deve essere mortificata la sua integrità perché da essa si genera
la credibilità professionale. In particolare, poiché è sempre possibile trovare
una falsa motivazione “interessata” per ogni comportamento umano, deve essere
immancabilmente svilito pubblicamente ogni suo atteggiamento etico. Inoltre per
impedire che vengano rispettati gli impegni, devono essere assegnati compiti
estremamente complessi, meglio ancora se oggettivamente impossibili da portare
a termine, e qualora ciò dovesse accadere si deve provvedere ad espropriare i
meriti.
Per contrastare questa tendenza è probabile che
la vittima si difenderà assumendo progressivamente la condotta più irreprensibile,
questa contromisura dev’essere immediatamente riconosciuta ed utilizzata per
screditare ulteriormente le qualità dell’avversario, accusandolo di falsità e
di aver sviluppato un “comportamento rigido” che mal si adatta al clima
informale e collaborativo del gruppo.
Semplice, no?