Novara. Sarà stato il 1985 oppure l’anno dopo.
Io me lo ricordo come il Raduno Nazionale degli Alpini, ma non risulta nella cronologia ufficiale.
Ero Ufficiale di picchetto presso una caserma che ospitava gli ex militari. Il giorno dopo avrebbero sfilato per la città. Persone intorno i sessanta anni. Io ventiduenne.
Durante la sera faccio un giro per le camere. Sono li che si raccontano: “Mario quest’anno non c’è”. Mi offrono un bicchiere di vino, ma io sono di quelli che non beve e poi sono armato, devo restare sveglio tutta la notte, la caserma è affidata a me per 24 ore. Erano gli anni del terrorismo. Assaltavano le caserme.
La mattina dopo, appena finita la cerimonia dell’alzabandiera, mi si avvicina un uomo sui settanta anni. Sarà stato alto uno e sessanta. Ben vestito in abiti civili, giacca grigia e cravatta appena con un po’ di colore. Prende un libro e me lo consegna: “Lei deve spedirlo al Tenente Paolo Bianchi”. Io qui scrivo Paolo Bianchi perché non mi ricordo il vero nome, ma lui mi ha dato un nome preciso.
Io gli rispondo: “Mi perdoni, ma come faccio a rintracciare il Tenente?! Ha un indirizzo? Una qualche forma di recapito? Si ricorda in che Reparto prestava servizio? In quale città?”.
Lui: “Giovanotto, eravamo in guerra insieme … lei sa sicuramente come rintracciarlo!”.
Mi ha guardato negli occhi. Con uno sguardo di chi aveva un passato troppo profondo per essere raccontato a parole.
Io: “Ha ragione. Provvedo oggi stesso. Stia tranquillo, ci penso io”.
Nell’impossibilità totale di effettuare una ricerca non me la sono sentita di dirgli che era un gesto insensato.
All’interno del libro c’era una dedica: “Al Tenente Paolo Bianchi con amicizia – Antonio – Fante benemerito”.