Nell’edizione del 1990 del Dizionario della lingua italiana Devoto-Oli che custodisco gelosamente, una delle definizioni del termine “potere” è la seguente: “Ambito sottoposto all’esercizio di un’influenza o di un dominio per lo più assoluti”.
E’ un concetto non facile da assimilare nella sua complessità, anche perché raramente capita la necessità di approfondire un simile tema. Così ci accontentiamo dell’idea vaga ed approssimativa che ci siamo fatti negli anni in modo empirico, e tanto ci basta.
Di fatto il potere lo identifichiamo con la capacità, la possibilità o l’abilità di fare o far fare qualcosa a qualcuno. Per comprendere però come funziona la violenza perpetrata con la strategia delle sistematiche vessazioni dobbiamo analizzare a fondo tale concetto poiché, come William Shakespeare ci ha dimostrato, le dinamiche di potere sono molteplici e personalmente penso di averne identificate solo alcune di quelle che utilizziamo e subiamo ogni giorno nei luoghi di lavoro.
Prima dinamica di potere
Quando partecipiamo ad un convegno, ad una giornata di studio, ad un corso di formazione ci attendiamo di ascoltare come relatore una persona particolarmente preparata sull’argomento di nostro interesse. Siamo lì spesso solo per curiosità, ma anche perché ci viene offerta l’occasione di progredire nella conoscenza di un determinato argomento, oppure di rivedere posizioni o informazioni oramai obsolete, per cui l’elaborazione mentale che poi ne conseguirà resterà nostro patrimonio almeno per un certo tempo, fino alla eventuale formazione di un nuovo paradigma. Ne consegue che la persona che siamo pronti ad ascoltare avrà necessariamente una certa influenza su noi stessi, sul nostro insieme di convinzioni o sul nostro futuro modo di agire.
Se l’esposizione, per correttezza dell’enunciazione, per scrupolosità di analisi, per i riferimenti ad altre opere scientifiche che già conosciamo, supererà i nostri parametri di selettività delle informazioni, noi la classificheremo come autorevole ed il relatore avrà inevitabilmente esercitato su di noi una forma di potere.
Il potere dell’autorevolezza è dovuto alla percezione che abbiamo della preparazione specifica, o dell’abilità di iniziativa, oppure dell’esperienza dell’altro, sicuramente migliori o più circostanziate di quelle che riconosciamo a noi stessi oppure al nostro gruppo.
Quindi di fronte ad una persona che percepiamo dotata di considerazione in un determinato ambito, subiamo il suo potere dell’autorevolezza tutte le volte che riteniamo di non essere in grado di agire, esporre, indicare o svolgere un compito altrettanto bene quanto lui. Più in generale quando siamo costretti a rivolgerci e sottostare alla sua professionalità per poter soddisfare una qualche nostra esigenza.
Con considerazioni diametralmente opposte possiamo identificare anche il contesto nel quale siamo noi ad esercitare il potere dell’autorevolezza, ovvero quando siamo noi quelli capaci di agire, esporre una considerazione particolarmente significativa, consigliare iniziative, indicare o svolgere un compito con una superiore competenza o dinamismo. Nella prima situazione siamo in una condizione di passività, quindi subiamo la dinamica di potere; nella seconda ci troviamo in una posizione attiva, quindi è la controparte che subisce la dinamica di potere.
In modo intuitivo, in un contesto lavorativo l’abilità di proporre un cambiamento, suggerire una innovazione, introdurre una trasformazione o una nuova prassi è favorita dall’autorevolezza che abbiamo conquistato nel tempo. Per poter indicare una eventuale innovazione, ad esempio in un ciclo industriale oppure nelle modalità di distribuzione del prodotto o di organizzazione della rete commerciale, è opportuno prima aver compreso a fondo tutte le vere esigenze e, dopo aver vagliato con competenza le possibili soluzioni, individuare una o due trasformazioni praticabili in modo da rendere obsolete le precedenti modalità. Le probabilità di far fronte alle difficoltà che inevitabilmente si presenteranno prima della messa a regime saranno direttamente proporzionali alla nostra autorevolezza.