Il primo atto della forma di violenza che intendo
descrivere in questo spazio consiste nel destabilizzare il nemico con azioni emotivamente
aggressive in misura direttamente proporzionale alla sua autostima, alla forza
d’animo ed alla sua capacità di attuare contromisure.
Tra le diverse figure che si possono incontrare nei
luoghi di lavoro, sia nel privato che nella pubblica amministrazione, ce ne
sono due che hanno una forte aspirazione ad esercitare “potere”.
Il più delle volte questo desiderio di potere è in
realtà dovuto ad ambizione personale, narcisismo. Chi desidera esercitare
potere lo fa ignorando i suoi veri compiti professionali, il mandato
istituzionale, perché deve appagare una spinta emotiva irrefrenabile che lo
spinge a calpestare la dignità del prossimo pur di raggiungere il proprio fine.
Esercitare potere, per queste persone, è il modo di dimostrare a se stessi che
le loro convinzioni sono giuste, che il loro modo di intendere l’esistenza è l’unico
ad essere autentico, che il fine giustifica i mezzi e tutto è permesso pur di
veder affermare la propria figura. Del resto non gli importa nulla.
Una parte di coloro che ambiscono al potere agisce
per scopi diametralmente opposti. Per riuscire a modificare in meglio un’organizzazione
è necessario l’impiego di dinamiche di potere, ma in questo caso il “potere”
non è il fine ultimo, ma solo il mezzo con il quale ottenere il cambiamento.
Queste persone si riconoscono dal modo autentico di affrontare le difficoltà,
di comunicare con gli altri, di analizzare le organizzazioni e le dinamiche
relazionali fra gli operatori. Sono coloro che fanno progredire la comunità
sociale non per un fine egoistico, ma per la semplice soddisfazione, ad esempio,
di veder realizzare un’opera utile per la collettività a cui nessuno dava
possibilità di riuscita.
Personalmente sono convinto che coloro che ambiscono
al potere per un fine egoistico sono persone piatte, non in grado di comunicare
calore umano, non in grado di trasmettere o riconoscere le emozioni con l’intensità
attesa. Se parlano in un convegno i loro discorsi sono banali, infarciti di
ovvietà, ripetitivi, dominati da concetti che richiamano un ipercontrollo delle
situazioni, una visione delle organizzazioni come bianco o nero, giusto o
sbagliato. E’ come se il loro emisfero sinistro del cervello, l’emisfero
razionale, si sia organizzato per ignorare o disattivare l’emisfero destro, l’emisfero
emotivo. Infatti una delle caratteristiche che potrete notare è l’abilità
dialettica associata alla capacità di mentire in un modo indegno e senza la
minima remora, il minimo scrupolo.
Poiché queste persone ricercano il ruolo di
prestigio non per realizzare un progetto ma per procurarsi ulteriore popolarità,
una volta raggiunta una posizione di potere dedicheranno il loro tempo a fare
favori ai dirigenti più elevati per accattivarseli, faranno crescere coloro che
fanno parte della cerchia ristretta degli amici dei potenti perché possano costoro,
in futuro, spendere una buona parola, ricambiare la cortesia. Le organizzazioni
lavorative che hanno un simile capo si trasformano immancabilmente in baracconi
ove gli adulatori ed i furbetti dominano incontrastati.
Questo scritto è rivolto
soprattutto ai ragazzi che si sono da poco inseriti nel mondo del lavoro. La condizione
di “ultimo arrivato” può essere superata con intelligenza da un dirigente
capace ed intuitivo, ma può anche essere un evento particolarmente devastante. Se
avete l’opportunità ed un minimo di capacità di analisi fate attenzione a come
è stato organizzato il vostro inserimento, perché per le persone che desiderano
esercitare potere per loro stessi potreste rappresentare un pericolo. Fate
estremamente attenzione perché il destabilizzare il nemico con azioni emotivamente
aggressive in misura direttamente proporzionale alla sua autostima, alla forza
d’animo ed alla sua capacità di attuare contromisure, potrebbe vedervi come il
bersaglio designato.
Considerate che, tipicamente, le comunità lavorative
dirette da una figura marcatamente narcisista sono governate in modo da
nascondere le deviazioni organizzative, mentre vedrete addossare ingiustamente colpe
alle persone più capaci, oppure semplicemente a coloro che più si espongono nel
loro modo di lavorare. Un primo passo per non finire nella rete è quello di riconoscere le dinamiche di potere esercitate nel proprio ambiente di lavoro, qualunque esso sia.