Come può funzionare una violenza psicologica se perpetrata
solo nel periodo lavorativo della giornata, quindi poniamo per circa otto ore,
e probabilmente per cinque giorni alla settimana? Sembra non credibile, no?
Una persona mediamente equilibrata riesce a sopportare le
aggressioni emotive perpetrate per brevi periodi e le otto ore potrebbero non
bastare all’aggressore. Ma la strategia degli psicopatici perversi ha aggirato
questo serio ostacolo sfruttando persone totalmente ignare che in gergo
chiamiamo “strumenti inconsapevoli”.
Gli strumenti inconsapevoli sono persone non completamente al
corrente degli eventi e che, senza averne coscienza, si prestano ad attuare
l’aggressione anche al di fuori dell’ambito lavorativo. In passato alcuni sono
stati etichettati anche in modo spregevole come “utili idioti”, “burattini
senza fili” o nomi simili, ma il concetto non cambia: chi agisce non si rende
conto di essere divenuto strumento di violenza in mano altrui. Anzi il più
delle volte è convinto di agire nel proprio interesse in tutta libertà.
Potrà sembrare incredibile ma vi garantisco che il
meccanismo è il seguente.
In primo luogo la persona da aggredire dev’essere isolata.
E’ necessario addossargli delle colpe, dei comportamenti, delle manie, in modo
che gli altri la percepiscano diversa da
loro, questo impedirà l’immedesimazione. Una volta isolato l’aggredito perderà
progressivamente il supporto sociale, ed egli stesso inizierà a dubitare del
suo modo di lavorare, di relazionarsi con gli altri. A questo punto è
necessario spargere maldicenze sul suo conto, che non siano eventi
completamente abnormi rispetto alla persona, ma utilizzando mezze verità dovrà
essere orientata in negativo ogni sua espressione di individualità, ogni suo
comportamento etico.
Esempi ne conosciamo tanti: è una poco di buono che non cura
i bambini, l’hanno vista con il rossetto impiastricciato in viso e la gonna
girata uscire dall’ufficio del capo, si è allontanata in macchina con due
uomini mentre era al lavoro, non si lava a sufficienza, ha messo tante volte le
corna a suo marito ed ogni occasione non se la lascia scappare, porta sfortuna,
ha avuto quell’incarico solo per le sue prestazioni sessuali, ha fatto credere
al marito che i figli sono i suoi invece ha un’amante da sempre, non per colpa
sua ma poverina non è in grado di svolgere i compiti che gli hanno assegnato, se
gli è successo questo qualcosa deve pur aver combinato, e così via.
In altre parole la collettività deve avere dell’aggredita
una percezione estremamente negativa, ma con argomenti che possano amplificare
convinzioni soggettive già presenti.
Le persone destinate a perpetrare l’aggressione non devono
percepire la strategia perversa, perché altrimenti il tutto si riverserebbe in
modo negativo contro colui che ha interesse ad esercitare violenza.
A questo punto il gioco è fatto. Perché quale vicina di casa,
quale collega di lavoro non finirebbe per confidare l’informazione riservata
ricevuta? E con il meccanismo del passaparola si tirano i fili per distruggere
la reputazione di una persona scomoda senza che nessuno possa risalire alle
vere responsabilità.
Ora, oltre alle aggressioni morali nel luogo di lavoro, la
vittima designata dovrà sopportare anche quelle conseguenti al discredito
sociale subito. E questo avviene sotto gli occhi della comunità sociale senza
che qualcuno si fermi un solo istante a riflettere su cosa stia succedendo a
colei che, fino al giorno prima, era considerata unanimemente una degna persona.