Prendiamo un ambiente di lavoro di fantasia, una grande multinazionale che produce veicoli stradali e da cantiere. Immaginiamo che nella filiale di Poggibonsi (Siena), ci sia l’ufficio europeo per la fornitura dei pezzi di ricambio composto da un dirigente, Mario, e dieci persone. Ipotizziamo che a capo della identica struttura americana di San Bernardino (California) ci sia il dirigente, Nathan, con i suoi bravi dieci collaboratori.
Mario ha sempre pensato esclusivamente alla propria carriera. Non gli interessa in realtà il bene dell’organizzazione per cui lavora, vuole solo arrivare in una posizione di comando, vuole raggiungere un elevato livello di prestigio sociale lasciandosi alle spalle gli amici, i compagni di scuola. Lui misura se stesso dal denaro che guadagna, dai titoli di studio e professionali conseguiti, dal fatturato dell’ufficio di cui è il responsabile. Non parla mai dei propri sogni, non ha un hobby, non gli interessa l’arte, il teatro, non legge libri, lavorerebbe anche il sabato e la domenica. Crea una continuità tra il suo ruolo di responsabile di una struttura e la sua vita privata, al punto che il suo telefonino squilla alle ore più impensabili e lui risponde volentieri.
Mario comprende che l’ufficio ha necessità di radicali riforme per funzionare al meglio, c’è la necessità di utilizzare nuove tecnologie informatiche per accelerare i tempi di acquisizione degli ordini e quelli di consegna, ma questo comporterebbe un periodo di transizione con possibili ricadute negative sul lavoro per lui inaccettabili, anche se per un tempo relativamente breve. Gli evidenti benefici che si avrebbero dimostrano che la flessione temporanea della produttività verrebbe ampiamente ripagata nel giro di quindici mesi, ma Mario non vuole sentire ragioni. I suoi collaboratori lo temono e non osano contraddirlo.
Nathan ha sempre pensato a svolgere bene il suo lavoro. Ha iniziato da operaio e, rapidamente, ha dimostrato al capo reparto che era persona affidabile, qualunque fosse stato il compito a lui affidato. Nathan è arrivato a gestire l’ufficio per la fornitura dei pezzi di ricambio senza creare una rete di amicizie e compiacenze in grado di favorirlo al momento giusto. Lui non è in competizione con nessuno, trae soddisfazione dal modo creativo ed efficiente di gestire quella struttura. I suoi collaboratori corrono da lui quando hanno un problema perché sanno che accetta anche i loro errori. Vuole farli crescere professionalmente perché l’azienda ha necessità di persone capaci per mantenere la quota di mercato.
Nathan ha molti altri interessi oltre la sua professione. Arriva al venerdì sera che è esausto e si prende il fine settimana per rigenerare le energie nervose. Lavora per vivere, non vive per lavorare. Si sta preparando ad una radicale trasformazione del lavoro ed è pronto ad accettare una flessione dei risultati pur di introdurre una nuova procedura e migliorare l’efficacia dell’attività svolta.
Sia Mario che Nathan ricevono una comunicazione dalla direzione aziendale, devono nominare un coordinatore scegliendolo tra i collaboratori.
Mario si preoccupa immediatamente di non valorizzare nella sua struttura una persona capace, perché un giorno potrebbe prendere il suo posto. Tra i suoi collaboratori c’è un soggetto che, nel tempo, ha conquistato la sua fiducia andandogli a raccontare i fatti privati dei restanti componenti dell’ufficio. Mario non se ne rende conto ma, lentamente, è stato diviso dai suoi coadiutori anziani e poi isolato. Questo suo interlocutore privilegiato non avrebbe le capacità per emergere, non è propriamente una persona di iniziativa, un talento, anzi è un narcisista estremo. Ma Mario pensa che, proprio per questo, se lo valorizzerà gli sarà riconoscente. D’altro canto chi lavora per un ideale, per soddisfazione personale, continuerà a lavorare anche se non verrà valorizzato, mentre penalizzare un narcisista significa farselo nemico. Un nemico pronto a vendicarsi alla prima occasione. Così Mario sceglie il più ambizioso dei componenti l’ufficio.
Nathan no, sceglie il più bravo.