Ci sono lavori che, prevalentemente, vengono realizzati in coppia. Pensiamo, ad esempio, alle forze dell’ordine, a chi deve fare turni notturni, a chi realizza un’attività di manutenzione particolarmente gravosa.
Ci sono anche lavori ove, per forza di cose, pur essendo lavori individuali ricadono in quest’ambito perché si tratta di due persone che lavorano nello stesso ufficio, nello stesso magazzino, a breve distanza nella stessa catena di montaggio. Magari abbiamo anche ruoli differenti ma condividiamo lo stesso spazio, lo stesso microclima, la stessa stampante, la stessa attrezzatura di lavoro.
Non c’è una regola sempre valida. E’ una libertà del datore di lavoro organizzare i turni lavorativi, stabilire la suddivisione degli uffici e le modalità di come il lavoro dev’essere svolto.
Ci sono persone, però, che mal digeriscono queste modalità organizzative. Non per un capriccio. Non per antipatia personale. Non per fini egoistici. A volte, il collega di lavoro, non solo non collabora, ma approfitta della situazione per defilarsi, per diminuire di nascosto il suo reale impegno, oppure per denigrare il nostro operato.
Immaginate di essere un Mediatore internazionale, una di quelle persone che vengono incaricate di trattare la cessione di pozzi petroliferi o di tratte aeree. La prima cosa che dovete assicurarvi di ottenere, è la piena condivisione e rispetto della vostra squadra. Se, chi è dalla vostra parte, vi contraddice, vi mette in ridicolo, cerca di smentire le vostre dotte affermazioni, siete in pericolo. Il vostro “potere” risulterà notevolmente diminuito e, la controparte, farà di tutto per approfittare della situazione favorevole.
Sottovalutare questi comportamenti, è un grave errore.
Può anche accadere che il collega si comporti in un modo più subdolo. Non collaborando attivamente allo svolgimento del lavoro, lascia ad altri di sopportare la fatica e lo stress, solo per mettersi in prima fila al momento della distribuzione delle medaglie. Anche questo è inaccettabile perché, mentre alla fine del lavoro noi saremo stravolti, lui potrà evidenziare il suo bell’aspetto, la sua camicia pulita, i lineamenti rilassati. Come corollario, non si assumerà nessuna responsabilità se, malauguratamente, l’attività non dovesse andare totalmente a buon fine. Lui non ha fatto niente.
Altra cosa che va osservata, è quel comportamento ove il collega vi riempie di domande e vi tiene continuamente sotto esame. Quello che normalmente descriviamo con la frase idiomatica “avere il fiato sul collo”. Ci sono soggetti che non aspettano altro che poter sottolineare una qualche nostra imprecisione. Lo si capisce perché anticipano un evento interpretandolo come imperfetto o sbagliato quando, ad una analisi più attenta, non è presente ancora nessun errore. Questo significa che non stanno aspettando altro, che il loro stato emotivo trova giovamento nel vederci fallire, che non vogliono il nostro bene e si stanno continuamente confrontando con noi uscendone potenzialmente sconfitti.
Quando si verificano situazioni di questo tipo, è facilissimo che i rapporti interpersonali finiranno rapidamente per degenerare. Perché chi lavora, difficilmente riesce a sopportare per lungo tempo certi comportamenti sistematicamente denigratori.
Non bisogna cadere nell’errore di arrivare allo scontro. Perché l’altro negherà sempre tutto. Il suo è un comportamento scorretto, ma è anche perfettamente consapevole di cosa sta facendo e della necessità di nascondere la sua strategia subdola. Inoltre è difficile dimostrare che, ogni volta che noi abbiamo caldo e ci manca l’aria, l’altro chiude la finestra perché gli crea disturbo (allergie improvvise, non sopporta le correnti d’aria, sente freddo, vede la gente fuori e si distrae, sente cattivo odore, gli fa venire il mal di testa, entra rumore, …).
Meglio lavorare da soli.