Tecnica in uso da parte dei dirigenti che intendono sfruttare la possibilità di non dover dimostrare risultati concreti ai propri superiori.
Funziona in questo modo.
In alcuni ambienti di lavoro l’attività può essere ridotta anche al solo venti percento di quella ottimale. Questo perché in diversi campi, quali l’insegnamento, l’arte, l’architettura, la gestione di una organizzazione, l’impegno non comporta un qualche risultato evidente. Ci sono lavori che comportano ruoli, mansioni, che puoi esercitare in due modi diametralmente opposti, operando con intensa passione o con il più assoluto menefreghismo, e tanto dall’esterno nessuno vedrà la differenza. I risultati o non sono misurabili oggettivamente, oppure sono risultati che si vedranno a lungo termine.
In generale noi immaginiamo un lavoro un po’ come una qualche attività che comporterà soddisfazione alla nostra utenza, al nostro interlocutore. Se ho un negozio di abbigliamento e faccio bene il mio lavoro, il cliente dovrebbe essere contento di aver fatto acquisti da me. Allo stesso modo mi aspetto riconoscimento se sono un medico che è appena uscito da una sala operatoria, se sono un vigile del fuoco, se faccio il falegname oppure il produttore di vini. E’ una visione però parziale.
Ci sono persone che, se fanno bene il loro lavoro, non avranno nessuna soddisfazione dal loro diretto interlocutore.
Pensiamo ad un Magistrato che deve svolgere indagini, che deve interrogare una persona ritenuta colpevole di un delitto, che deve chiederne il rinvio a giudizio e poi la condanna. La sua attività non è “premiante” nei confronti dell’utenza. Ma il suo lavoro è quello. E’ un lavoro di pubblica utilità. Deve gestire un potere che gli è stato delegato. Allo stesso modo ci sono diverse altre professioni che hanno questa caratteristica.
Ora mettiamo insieme questi due aspetti: un lavoro il cui risultato non sia oggettivamente misurabile o, quantomeno, non lo sia a breve termine ed un lavoro non emotivamente premiante per chi opera nel migliore dei modi. Solo un idealista convinto darà il meglio di se in questa difficile situazione. Ma c’è un modo per fermare anche gli idealisti: aumentare il tempo di lavoro passivo a scapito di quello attivo.
Un dirigente che abbia solo da perdere se i propri collaboratori decidessero di svolgere le proprie mansioni nel migliore dei modi, potrà sempre imporre un regolamento interno estremamente complesso, fatto di protocolli rigidi, di continue richieste di autorizzazione, di burocrazia esasperante, di indisponibilità economica anche per le più piccole esigenze, di ossessive registrazioni delle attività per statistiche che nessuno realizzerà mai. Questo perché la giornata lavorativa la si può dividere in due macro attività: il tempo dedicato al lavoro passivo ed il tempo dedicato al lavoro attivo.
Se sono un Architetto, il tempo di lavoro attivo è quello in cui opero su un progetto, il tempo in cui mi documento per cercare nuovi materiali, il tempo impiegato ad abbozzare un disegno ove organizzo lo spazio. Se sono un Coltivatore, il tempo di lavoro attivo è quello in cui opero gli innesti, oppure quando seleziono le coltivazioni per la semina. Se sono un Insegnante è quello passato con i ragazzi. Tutto quello che ha a che fare con registri, moduli di permesso, autorizzazioni, schede carburanti, moduli di rimborso, registrazioni presenze, riunioni, verifiche, audit, protocolli di qualità, sono tempo di lavoro passivo.
Al dirigente che vuole appiattire e demoralizzare i collaboratori, perché ha un interesse personale che è esattamente l’opposto di quello ufficialmente dichiarato, basta solo complicare il tutto. Il tempo di lavoro passivo si dilaterà a dismisura e lui potrà recitare la parte del brillante organizzatore.