lunedì 22 giugno 2015

Non sono così ingenuo



Uno dei modi per comprendere chi, realmente, opera onestamente, secondo degli ideali, oppure se veramente prova amore per noi, è quello di lasciarlo libero di agire come meglio crede.


Questo post è scritto al maschile per semplicità, ma lo stesso ragionamento vale per una donna.

Ci sono molti modi di comportarsi quando si conosce una nuova persona. Potrebbe essere un nostro nuovo cliente, una persona interessata alle nostre opere d’arte, un artigiano che ci deve realizzare il cancello del giardino, la nuova maestra di nostra figlia, il nuovo vicino di casa, il nostro nuovo consulente strategico per indirizzare le iniziative commerciali … in definitiva un nuovo individuo con cui dobbiamo interagire. Non conosco una regola sempre valida e, sono convinto, che ognuno agisce per un quaranta percento in base alle esperienze avute, e per il sessanta percento in base alla propria personalità.

Abbiamo la prima impressione che ci aiuta, è vero, ma ci sono individui che sanno come dare un’ottima immagine iniziale di se stessi, chi realmente sono lo scopri solo dopo.

Cosa fare?

Io, personalmente, ho una strategia.

A mio modo di vedere è necessario elaborare il giusto mix tra fiducia incondizionata ed atteggiamento in grado di recuperare la situazione nel caso degeneri.

In altre parole preferisco lasciare libera l’altra persona di parlare, di comportarsi, di agire, sempre in un ambito ristretto al punto di accettare un eventuale danno limitato. E’ una strategia potenzialmente dannosa, ma è un rischio calcolato. Il vantaggio enorme è però quello di comprendere fin da subito con chi hai a che fare. Prima di un matrimonio, prima di un accordo commerciale, prima di iscrivere una figlia a scuola, prima di prenotare un viaggio. Perché le persone, spesso, non aspettano altro di poter disporre a piacimento della tua fiducia, conquistandola a piccole dosi, solo per poi ritrovarti un coltello infilato nella schiena quando vai a toglierti la giacca.

Accettando un piccolo danno limitato che, beninteso, non è detto che si verifichi perché magari abbiamo trovato una brava persona, possiamo prevenirne uno più grande.

E se le cose dovessero invece andare male, se il nostro interlocutore dovesse mostrare la sua vera natura mordendoci alla giugulare, possiamo sempre fermarlo subito dopo il danno limitato, per fargli capire che non siamo così ingenui da non aver capito la sua strategia.





sabato 13 giugno 2015

Il mobbing come strumento per il cambiamento




Grande Banca di investimento di fantasia. Una delle poche che non ha risentito molto della crisi finanziaria globale esplosa nel 2008.

All’interno della struttura esiste un Consiglio di Sicurezza, ovvero un comitato segreto di alti dirigenti che ha il compito di esaminare l’integrità morale delle figure di vertice. Lo scopo è autotutelare l’Istituto da possibili scalate di gruppi di potere o organizzazioni settarie in grado di disgregare le risorse e mettere in pericolo migliaia di posti di lavoro. 

Il Consiglio di Sicurezza oggi è riunito per valutare il comportamento di Brydon, un dirigente di origine australiana dal brillante curriculum, che sta rapidamente salendo di importanza e considerazione all’interno di una sede periferica. 

Per contestualizzare l’insieme degli eventi il relatore ricorda come, negli anni intorno al 2000, la Banca si sia trovata a dover affrontare un mercato fortemente instabile. Le scelte strategiche attuate allora sono state pensate in un clima di forti tensioni, ove certi soggetti, spregiudicati calcolatori, stavano per avere la meglio. In questa situazione alcuni manager hanno avuto l’opportunità di progredire nella carriera in modo estremamente rapido, perché era nata l’esigenza di sostituire altre figure che, per i motivi più svariati, avevano di fatto lasciato l’Istituto. 

Si era creato, quindi, un clima di urgenza. Erano necessari rapidi cambiamenti nei ruoli di potere.

Questo clima, ove le decisioni venivano prese senza poter contare su un insieme completo di informazioni, ha certamente impedito un’approfondita analisi; così certi ruoli di primo piano sono stati assegnati più sull’onda emotiva conseguente alla reale paura che aveva pervaso l’intera organizzazione.

Anche i principali clienti dell’Istituto avevano confermato queste necessità.

Così Brydon, appena ricevuto il nuovo incarico di responsabilità, a lui affidato per aver dimostrato una certa professionalità nel gestire le situazioni problematiche, ha immediatamente operato su due principali direttrici: ha creato e valorizzato una squadra di collaboratori fidati ed ha stretto alleanze forti con altri dirigenti suoi parigrado.

Brydon ha convinto questi suoi fidati collaboratori della necessità di un cambiamento guidato. Lui avrebbe provveduto a valorizzarli economicamente ed a procurargli ruoli di formale coordinamento, in cambio del loro appoggio nel far accettare le sue direttive al resto della comunità lavorativa. Nel portare avanti questo condizionamento, Brydon ha coinvolto anche sul piano emotivo persone di diversa estrazione professionale, proponendo idee legate all’etnocentrismo ed alla fede politica. Lo scopo, nemmeno tanto nascosto, è stato quello di orientare l’attività in una direzione il più possibile favorevole alle sue ambizioni di carriera. 

Nello scegliere i collaboratori il dirigente non ha pensato alle persone più preparate professionalmente, ma ha individuato coloro maggiormente in grado di influenzare il comportamento dei loro colleghi. Non importa come.

Una volta organizzatosi Brydon ha iniziato a produrre report dell’attività finanziaria svolta. Ed in questo si è distinto in modo significativo poiché gli ottimi risultati numerici sono apparsi subito evidenti. Sono emerse anche delle anomalie, come una più marcata conflittualità negli uffici da lui diretti ed un più alto tasso di assenze per malattia, ma nessuno ha dato peso a queste rilevanze minori.

Gli stretti collaboratori di Brydon sono stati in grado di interagire con decisione perché è stata fornita loro una precisa strategia, una vision, una direttrice che li ha di fatto lasciati liberi di agire sul piano tattico per orientare i comportamenti anche di coloro che non avevano inizialmente apprezzato le nuove direttive. Contemporaneamente è stata garantita loro copertura in caso di azioni legali o rivendicazioni amministrative.

Per meglio gestire questo rapporto diretto, il dirigente ha sovente invitato a cena a casa sua questi suoi diretti aiutanti.

Ma, a questo punto, il Consiglio di Sicurezza non può fare a meno di osservare che la strategia per la scalata gerarchica di Brydon ha poi preso una piega criminale. Infatti il dirigente ambizioso ha di colpo deciso di eliminare gli ostacoli al cambiamento facendo attuare la strategia delle sistematiche vessazioni, psichiche e morali, nei confronti di coloro che avevano iniziato a scoprire le reali motivazioni del suo agire: Brydon è un narcisista estremo con tratti di perversione ed è solo interessato ad acquisire potere.

Così molti suoi collaboratori si sono decisi ad ottenere un trasferimento in altra sede. Alcuni si sono addirittura licenziati ed un numero ancora più ristretto ha consultato un legale per richiedere un risarcimento danni alla Banca.

Brydon ha dato mandato ai suoi coordinatori di agire per umiliare gli oppositori, per dequalificarli, per isolarli, per spingerli ad allontanarsi. Per supportare questa iniziativa ha creato degli obiettivi a breve termine per dimostrare qual era il lato “giusto” della strada da percorrere. Infatti i suoi sorveglianti-attivisti sono stati tutti promossi ed hanno avuto un significativo incremento nella retribuzione. 

Le trame di Brydon hanno però creato una sostanziale situazione di stallo. I lavoratori hanno smesso di impegnarsi apportando la loro naturale creatività nello svolgere l’attività quotidiana, e molti di loro hanno iniziato ad attuare la strategia dell’ubbidienza maliziosa, ovvero applicano alla lettera le procedure aziendali limitando, di fatto, il naturale e rapido svolgimento della professione.

Brydon di conseguenza ha quindi deciso di falsificare i report finanziari per nascondere il suo sostanziale fallimento.

Ora spetta al Direttore Generale prendere una decisione …




lunedì 1 giugno 2015

Al ragnetto che si nasconde nel mio garage



Caro ragnetto che ti nascondi nel mio garage, ti prego di andare via.
Lo dico per il tuo bene. Ti prego di credermi. Non è il posto adatto a te.

In primo luogo, per la maggior parte dei mesi dell’anno, è un ambiente freddo ed umido. Quindi con un microclima pessimo. Poi è anche molto rumoroso, non solo perché talvolta potrai sentire il rombo cupo del mio bolide rosso, ma anche per l’attività delle ragazze che abitano al primo piano, impegnate a tutte le ore del giorno e della notte.

Non ti nascondo anche che, per forza di cose, sono costretto a conservaci sostanze chimiche nocive come l’acido solforico per il rabbocco delle batterie. Ed anche i gas che fuoriescono dal tubo di scappamento della fuoriserie, oltre ad essere tossici, sono sospetti cancerogeni. 

Ti posso anche assicurare che, in oltre venti anni, non ci ho mai visto volare una mosca, moriresti di fame.

Cerco di dirti queste cose per il tuo bene. Perché sono tuo amico. Perché non c’è motivo di farti la guerra. Diversamente vorrei farti notare la mia superiore potenza di fuoco. Oltre ad una sciabola ed ad alcuni coltelli da cucina che potrebbero rivelarsi comunque utili, posseggo un Arco composito da 45 libbre completo di frecce in alluminio e carbonio, nonché una Pistola semiautomatica Beretta calibro 9x21mm con puntatore laser e due caricatori bifilari con cartucce a proiettile blindato. Nella malaugurata ipotesi che tu dovessi resistere ad uno scontro a fuoco ti avverto, tramite il web, mi posso sempre procurare un Fucile automatico da assalto M16A1.

E, se tutto questo non dovesse bastare, ti prego di credermi, posseggo l’arma finale che nemmeno gli armamenti fotonici della serie fantascientifica Star Trek potrebbero fermare: … l’aspirapolvere!