martedì 30 settembre 2014

Distruggerlo è solo una seconda opzione



Azienda numero due di un certo comparto, non ha molta importanza se l’ambito è la produzione di rasoi a lama, automobili, aeroplani di lusso o lampade da tavolo. 

L’intero mercato è diviso, poniamo, tra venti concorrenti, tutti agguerriti. L’azienda leader ha una quota del 32 percento. La numero due ha il 19 percento. La numero tre ha una quota del 13 percento, e le altre diciassette si spartiscono il resto della torta (intesa come diagramma).

La strategia che dovrebbe adottare il consiglio di amministrazione dell’azienda leader dovrebbe essere quella tipica del più forte. Nel marketing vengono riprodotte le stesse strategie della guerra, ed il campo di battaglia è la mente del consumatore. Il più forte domina il mercato. In realtà l’azienda leader non combatte contro gli altri, visto che il suo prodotto riscuote un maggior successo di vendite, ma combatte contro se stessa, ovvero punta a migliorare la qualità, a diminuire gli sprechi, a perfezionare le tattiche commerciali.

Colgo l’occasione per fare un inciso: spesso si sente dire da grandi esperti di gestione aziendale, che è necessario ridurre i costi di un’azienda, della materia prima, del personale, della pubblicità. A mio parere non è vero; quantomeno non lo è nella grande maggioranza dei casi. Semmai è necessario ridurre drasticamente o eliminare gli sprechi, che sono altra cosa. 

Se io produco un bene che, nella sua nicchia di mercato, è qualitativamente il migliore, e se per produrlo devo acquistare un certo componente costosissimo, devo ridurre gli sprechi non i costi. Perché quel componente sarà anche costosissimo, ma è certamente un elemento essenziale del mio prodotto di successo. Acquistare un componente più economico comporterebbe sì la riduzione dei costi, ma anche una riduzione della qualità globale del bene prodotto. Molto probabilmente, quel bene, perderebbe rapidamente mercato. Perderebbe la fascia alta del mercato che prima dominava. 

Lo stesso ragionamento vale con il personale. Se ho un capo magazziniere che da anni mi garantisce una prestazione lavorativa eccellente io, datore di lavoro, ho interesse a premiarlo, perché la tempestiva spedizione dei prodotti è una componente essenziale della mia organizzazione. E se a magazzino servono nuovi e più efficienti sistemi informatici per tracciare i beni, io devo fornirli e renderli operativi.

Molto più conveniente è ridurre gli sprechi. Ridurre lo spreco di energia, di materia prima, di risorse, di tempo.

La strategia che dovrebbe adottare il consiglio di amministrazione dell’azienda numero due è la guerra di marketing del più debole contro il più forte. La guerra di guerriglia. Suddivido il mercato e divento leader in un settore ristretto. Attacco di sorpresa su un solo punto, concentrando le energie e creando la supremazia delle forze localizzata. 

Sun Tzu insegna che conquistare quote di mercato senza produrre danni è il vero vantaggio; distruggere le strutture avversarie è solo una seconda opzione, e non è vantaggiosa come la prima. Anzi, distruggere le strutture avversarie è azione dettata dalla disperazione o dal coinvolgimento emotivo. 

Quando Israele attaccò le basi ed i campi di aviazione egiziani nel conflitto che oggi chiamiamo “Guerra dei sei giorni”, lo fece puntando a distruggere tutti i velivoli a terra ma con un occhio di riguardo alle piste che vennero sì rese temporaneamente inservibili, ma non distrutte, perché l’aviazione con la stella di Davide intendeva poi riutilizzarle.

La conquista dello spazio dominato dall’avversario è il vero obiettivo, non la distruzione. Questo concetto lo ritroviamo anche nel mondo dello sport, ad esempio nel Rugby. Il datore di lavoro che opera con intelligenza si attiva per vanificare le strategie di attacco del mercato da parte dei suoi concorrenti, inoltre indebolisce la rete di relazioni e di approvvigionamenti su cui può contare il nemico e, solo dopo questo, interviene sul mercato per ampliare la quota da lui dominata.

Quando le aziende sono amministrate per prosperare troverete strategie simili a queste.


lunedì 29 settembre 2014

Il perfido vuole vedervi soffrire



La personalità psicopatica perversa desidera mostrare alla persona che ha rifiutato l’assoggettamento quanto è cattiva la gente. Il tutto nasce dalla sua visione distorta dell’esistenza, dal suo modo di rapportarsi con gli altri, dal fatto che è stato denigrato da bambino. 

Non vuole che sia la sua sola realtà ad essere così. Vuole che sia la realtà che le persone migliori devono percepire. E sarà lui stesso a creare le condizioni perché ciò avvenga.

E’ il suo biglietto da visita. La sua firma. Il marchio distintivo. 

Se accettiamo di modificare il nostro modo di porci nei confronti della comunità, lui avrà il riscontro che la sua strategia perversa ha funzionato. Se non modifichiamo il nostro modo di porci nei confronti della comunità ci esponiamo alle cattiverie gratuite di chi ci crede mentalmente incapaci. E’ una guerra basata sulla comunicazione. 


Il mito della razionalità



Abbiamo deciso di andare sulla luna. Abbiamo deciso di andare sulla luna in questo decennio e di impegnarci anche in altre imprese, non perché sono semplici, ma perché sono ardite, perché questo obiettivo ci permetterà di organizzare e di mettere alla prova il meglio delle nostre energie e delle nostre capacità, perché accettiamo di buon grado questa sfida, non abbiamo intenzione di rimandarla e siamo determinati a vincerla, insieme a tutte le altre. 

Per questo motivo, ritengo che la decisione dello scorso anno di intensificare il nostro impegno nello spazio sia tra quelle più importanti prese durante il mio mandato presidenziale”.

Brano tratto dal discorso che il Presidente John Fitzgerald Kennedy tenne alla Rice University a Houston, Texas, il 12.09.1962.


Ora voi siete il Direttore Generale dell’Agenzia incaricata di portare a termine questa impresa. Come organizzereste il lavoro?

Domanda da 370 miliardi di Dollari.

Una cosa è certa: basare l’intera organizzazione su piani e strategie razionali, puntando sulla capacità di selezione quindi su personale estremamente qualificato, sulle superiori conoscenze tecniche, sulla disponibilità di ingenti somme per la ricerca ed una forte motivazione ideologica, sul consenso popolare in grado di favorire a tutti i livelli l'iniziativa, su programmi accuratamente preparati e continuamente migliorati, crea le condizioni necessarie ma non è sufficiente.

In una organizzazione è necessario tenere conto del fatto che le persone che la compongono sono esseri umani, con le loro paure, le loro ambizioni, le rivalità dovute all’invidia, alla gelosia professionale, a fattori psicologici di cui, sovente, nemmeno il singolo individuo ne sospetta l’esistenza. Per quanto l’organizzazione possa essere stata ben definita sulla carta poi, le difficoltà a far funzionare il tutto nel migliore dei modi, inevitabilmente emergono.

Tali attriti della macchina, per la loro stessa natura inconscia, sfuggono ad un'analisi razionale. 

Serve a poco creare tabelle numeriche per definire i carichi di lavoro uniformi. Serve a poco stabilire un orario di lavoro rigido, standardizzato. Serve a poco fare riunioni periodiche ove persone con incarichi e mansioni molto diverse si ritrovano ad ascoltare direttive esecutive. Serve a poco minacciare per intimidire ed ottenere il massimo impegno da persone demotivate. Serve a poco far ricadere sulle figure più deboli le responsabilità per gli errori commessi e tutelare l'immagine della dirigenza.

Le organizzazioni, tutte le organizzazioni, non sono puramente razionali.

Per cui il direttore generale, l’amministratore delegato, il datore di lavoro, il grande manager, il semplice dirigente di struttura o capo reparto, tutti devono tenere conto del fatto che la sola razionalità incide poco in un contesto lavorativo. Per questo Adriano Olivetti aveva uomini di cultura ed uno Psicologo nel suo consiglio di amministrazione. Per questo i regimi dittatoriali nei luoghi di lavoro sono il manifesto dell’inefficacia. 


giovedì 25 settembre 2014

Il tono della voce




Talvolta, in un dialogo, in una conversazione, il nostro tono della voce si altera e tradisce l'emozione che stiamo provando.

Così la nostra stessa voce ci imbarazza e siamo spinti ad affermare cose che non corrispondono affatto alle nostre idee.

Per quanto possa sembrare paradossale, al manifestarsi involontariamente di una emozione improvvisa non corrisponde, necessariamente, una informazione coerente.


Avere fiducia in se stessi




Rievoco non troppo bene un film che ho visto da ragazzo. Un uomo si risveglia in un parco. E’ seduto su una carrozzina a rotelle ed ha un plaid ripiegato sulle gambe. Si sente debole e ricorda poco di cosa è successo nelle ultime ore ma ricorda che era in guerra, la seconda guerra mondiale.

Ad un certo punto si avvicina un altro uomo, in apparenza un Medico o uno Psicologo. A ben guardare il parco sembra più una casa di cura per malati di mente. Tutto ha una sua logica, una sua armonia. 

Il Medico gli dice che è contento di vederlo e gli chiede se ci sono novità, se la sua memoria è tornata. Poiché la persona seduta sulla sedia a rotelle in quel momento ricorda bene, si insospettisce ma non ha la reale percezione di quanto sta accadendo. Perché si trova lì? Perché non è stato fatto prigioniero e non si trova in un qualche campo di concentramento? 

La storia è basata sull’esercizio dell’inganno. L’esercito nazista ha fatto prigionieri degli Ufficiali americani ma vuole sfruttare la situazione per ottenere informazioni. Siccome anche sotto tortura i prigionieri non parlerebbero, si organizzano con una finta clinica psichiatrica, ove praticamente tutti recitano una parte, infermiere, pazienti, Medici, cuochi, … tutti tranne il militare alleato al quale viene fatto credere che ha perso la memoria. 

La strategia è questa: “… gli facciamo credere che è qui in cura da dieci anni, che la guerra è finita, che ha perso la memoria in un qualche trauma e lo stiamo curando. Così, quando si riprenderà dal sedativo, pensando che sia tutto vero confiderà ai sanitari quanto vogliamo sapere”. 

Non svelerò il finale del film ma intendo evidenziare come l’elemento fondamentale sul quale l’Ufficiale americano può contare è la fiducia in se stesso. Gli viene fornita l’informazione che lui è malato. Tutto intorno a se conferma la tesi. Non è pazzo, ha solo perso la memoria degli eventi passati da molto tempo. Ed ora che l’ha ritrovata non ricorda che è lì da dieci anni a guardare l’erba crescere. 

Ogni essere umano si è trovato nella vita, almeno una volta, in una situazione analoga. Io vedo una possibile via di salvezza e gli atri no. Ho ragione io? Hanno ragione gli altri? Perché io la percepisco diversamente? Cosa devo fare? Cosa è giusto fare? Si stanno realmente prendendo cura di me? Agiscono per invidia? Agiscono per il mio bene? Mi posso fidare? Mi stanno costringendo ad agire in questo modo con l'inganno?

Non c’è una possibile risposta che valga sempre. Ma non dobbiamo mai perdere la fiducia nelle nostre percezioni. Anche quando tutto ci sembra assurdo ed inverosimile, non dobbiamo mai smettere di pensare. Anche quando le aggressioni non sono fisiche e non le possiamo far certificare al pronto soccorso, anche quando sono aggressioni emotive non dobbiamo mai smettere di pensare.

Potrebbe essere solo una finzione ben architettata. Potrebbero solo aver cercato l’inganno.


domenica 21 settembre 2014

Ascoltano, ma non per capire


Com'è difficile far finta di nulla quando, ad una nostra lettera, ad una nostra esposizione, ci viene data una risposta palesemente di circostanza. 

Ascoltano, non per capire, ma per preparare la risposta contraria più appropriata.

E' una sorta di chiusura mentale. Non vogliono ammettere che può esistere una possibile diversa interpretazione. Non vogliono ammettere che le loro convinzioni valgono quanto quelle degli altri. Mentre parli già pensano a come contraddirti. Loro sono superiori. A spiegarti perché sbagli ti fanno quasi un favore. 

E quando espongono la loro replica, abbandonano sollecitamente la strada ogni volta che può condurre a riconoscere le nostre verità ed imboccano, immancabilmente, quella che permette di rifiutarle.

A ricercare la verità non hanno alcun interesse.


sabato 20 settembre 2014

Difficile non indovinare il motivo delle loro azioni




Una volta Friedrich Wilhelm Nietzsche disse: “Spesso, nei rapporti con gli uomini, è necessario fingere, benevolmente, di non indovinare i motivi delle loro azioni”.

Normalmente una personalità narcisistica tende a sopravvalutare se stessa e svalorizzare, denigrare gli altri. Di conseguenza procede con la convinzione di poter agire impunemente per il semplice fatto che il resto dell’umanità non è in grado di comprendere e, men che meno, prevedere le sue vere finalità. 

Ciò è palesemente falso.

I narcisisti perversi usano strategie che le persone equilibrate non utilizzerebbero mai; semmai è questa la reale differenza.

Immaginiamo un Paese emergente in Asia. L’economia cresce ogni anno ed il commercio con le nazioni più progredite è sempre più intenso. Il Ministro per i trasporti riceve un rapporto ove vengono evidenziate le necessità delle imprese. Serve una rete stradale adeguata a sostenere il commercio. Servono investimenti a medio-lungo termine. Così viene decisa l’esecuzione di una grande e moderna arteria autostradale che attraverserà foreste, pianure disabitate, lagune malsane e luoghi montagnosi pressoché desertici. Una grande arteria autostradale che comporterà la realizzazione di viadotti, gallerie, ponti, servizi per il territorio, un sistema di emergenze, l’impiego di generatori associati a fonti di energia rinnovabili, un complesso di punti di ristorazione, diverse interconnessioni con la rete ferroviaria che verrà ampliata e migliorata nella qualità.

Tanto denaro difficile da controllare.

E’ prevedibile che una qualche personalità senza scrupoli cercherà di approfittare della situazione per corrompere, per traviare, per arricchirsi economicamente ed accrescere il suo prestigio sociale e quello della sua area di appartenenza? Certo che è ampiamente prevedibile. La natura umana è indipendente dalle diverse culture. Ma il manifestarsi di questi fenomeni non sarà palese, sarà abilmente nascosto.

Per questi motivi il Ministro deve saper scegliere i migliori collaboratori possibili, e non i più opportunisti. Per questo serve una corretta informazione in modo che i cittadini possano sapere, valutare ed, all'occorrenza, intervenire.

Queste dinamiche di potere avvengono anche nei luoghi di lavoro della nostra civiltà occidentale. Ci sono coloro che lavorano per il bene comune, per assolvere al meglio il loro mandato istituzionale, e ci sono i furbetti o, meglio, quelli che si credono furbetti. Quelli che non si lasciano coinvolgere, che nelle riunioni non hanno mai un’opinione decisa, che non si esprimono, che non si schierano. Li riconosci perché sono sempre alla ricerca di un’opportunità di carriera, tendono a denigrare l’operato degli altri ma solo quando parlano con i vertici aziendali. Evitano costantemente responsabilità e si attribuiscono i meriti degli altri.

Costoro si illudono di poter agire senza dare nell’occhio. Dissimulano abilmente. Ma le personalità intuitive, chi ha sviluppato l’intelligenza emotiva, ed anche coloro che hanno sofferto nella propria esistenza, percepiscono tale atteggiamento senza difficoltà anche se poi, spesso, decidono di fingere benevolmente di non avvertire i motivi di queste azioni dannose.

domenica 7 settembre 2014

Un giorno dopo l'altro



Un giorno dopo l'altro / il tempo se ne va
le strade sempre uguali / le stesse case.
Un giorno dopo l'altro / e tutto è come prima
un passo dopo l'altro / la stessa vita.

E gli occhi intorno cercano / quell'avvenire che avevano sognato
ma i sogni sono ancora sogni / e l'avvenire è ormai quasi passato.

Un giorno dopo l'altro / la vita se ne va
domani sarà un giorno uguale a ieri.

La nave ha già lasciato il porto / e dalla riva sembra un punto lontano
qualcuno anche questa sera / torna deluso a casa piano piano.

Un giorno dopo l'altro / la vita se ne va
e la speranza / è un'abitudine.

Luigi Tenco

venerdì 5 settembre 2014

Vedrai Vedrai



Quando la sera / me ne torno a casa
non ho neanche voglia di parlare 

tu non guardarmi
con quella tenerezza / come fossi un bambino
che ritorna deluso.

Si lo so / che questa
non è certo la vita / che ho sognato un giorno per noi.

Vedrai vedrai / vedrai che cambierà
forse non sarà domani / ma un bel giorno cambierà
Vedrai vedrai / non son finito sai
non so dirti come e quando / ma vedrai che cambierà.

Preferirei sapere che piangi 

che mi rimproveri di averti delusa
e non vederti sempre così dolce / accettare da me
tutto quello che viene.

Mi fa disperare / il pensiero di te
e di me che non so darti di più.

Vedrai vedrai / vedrai che cambierà
forse non sarà domani / ma un bel giorno cambierà
Vedrai vedrai / non son finito sai
non so dirti come e quando / ma un bel giorno cambierà.

Luigi Tenco



Le riorganizzazioni di facciata per salvare la poltrona




Ritorniamo all’esempio di fantasia che ipotizzava l’evoluzione dell’ambiente di lavoro di una grande multinazionale che produce veicoli stradali e da cantiere, descritta nel post Lo schema dei manipolatori.

Nella filiale di Poggibonsi il dirigente Mario, dopo la nomina del coordinatore, attraversa alcuni anni di sostanziale lavoro stabile, senza grandi scossoni. Finché non arriva la crisi economica che si è palesata nel 2008. Nel giro di sei mesi il suo ufficio ha visto praticamente dimezzare gli ordini e la direzione aziendale lo ha già convocato una volta. Sono seriamente preoccupati. 

Per Mario questa è una complicazione non da poco, perché lui ha sempre visto il suo attuale compito professionale come un trampolino, una rampa di lancio per nuovi e più prestigiosi incarichi. Nella sua mente lui avrebbe dovuto permanere in quell’ufficio per circa due o tre anni, per questo non si è preso cura di migliorare l’organizzazione. Era importante solo spremere per mostrare i risultati e fuggire.

Ora però la realtà è cambiata e, per dirla alla Luigi Tenco, si è alzato il mare e gli uomini senza idee per primi vanno a fondo.

E’ così che Mario decide di attuare una strategia di rilancio, ma non del suo ufficio, bensì della sua immagine. Deve cambiare tutto per far sì che non cambi nulla.

Pianifica una radicale ristrutturazione dell’organizzazione che comporta: la diminuzione dei salari per gli impiegati e per gli operai; l’eliminazione di intere attività con trasferimento del personale in altre sedi anche molto distanti; l’ampliamento di alcuni servizi con orari maggiormente flessibili per gestire le transazioni in tempo reale anche con clienti internazionali; la drastica diminuzione delle procedure di controllo qualità e di sicurezza.

Presentato con enfasi il progetto alla direzione aziendale, ottiene il via libera per operare. E Mario non perde tempo per mettersi in mostra. Perché la riorganizzazione proposta, a voler vedere le cose dall’alto, non ha una vera ricaduta in termini di efficienza, di miglioramento del prodotto o diminuzione degli sprechi. Questa riorganizzazione non è significativa sul piano sostanziale, ma è un modo per mettere se stesso al centro delle iniziative, per non subire, per aggredire per primi. In questo modo Mario potrà mostrare di essere persona moderna, un brillante organizzatore, ingegnoso, quindi indispensabile per l’azienda. 

La situazione prende una brutta piega nel momento in cui gli operai gli si rivoltano contro. Il modo di fare del dirigente è autoritario. Impone con determinazione eccessiva la propria linea di condotta. Non accetta di modificare una virgola, non ascolta le esigenze umane di chi realmente lavora. Tratta le persone come fossero numeri. Vuole arrivare alle modifiche che ha già venduto ai suoi superiori ed è pronto a tutto per ottenerle. Le riunioni sindacali non servono a nulla, finge di ascoltare ed usa la dialettica per contrastare anche la minima rivendicazione. Minaccia licenziamenti. Ovviamente i lavoratori non la prendono bene e scrivono una lettera al Chief executive officer, il direttore generale ed amministratore delegato americano che presiede il consiglio di amministrazione. 

L’amministratore delegato decide di approfondire e manda un supervisore. La strategia ingannevole di Mario è debole, viene subito individuata. Così l’azienda riconosce che è molto più importante mantenere la forza lavoro con il know-how raggiunto dai lavoratori, piuttosto che assecondare le vuote ambizioni personali di un manager opportunista e senza scrupoli. Per cui Mario viene promosso e mandato a dirigere un ramo laterale dell’attività produttiva, dove difficilmente potrà ancora fare danni.