lunedì 4 novembre 2013

Solo una tecnica basata sulla dialettica


Pur avendo provato in modo razionale le nostre buone ragioni, spesso nelle aule di giustizia ci troviamo in difficoltà a dimostrare la nostra tesi in modo emotivamente convincente.

Come tecnica puramente dialettica è fatto notorio che, l’isolare la descrizione di un evento dal contesto nel quale è realmente avvenuto e dalla rete di rimandi documentali all’interno dei quali questo è inserito, permette alla controparte di negare qualunque avvenimento, finanche l’evidenza.

Se poi, al fine di comprovare che la persona che sostiene di aver subito la violenza perpetrata con la strategia delle sistematiche vessazioni, psichiche e morali, non è un soggetto attendibile:
  • si provvede fin da subito a non accettare il quadro di riferimento proposto e ad avanzare ambiguamente dubbi sulle sue reali condizioni di salute psicofisica, disconoscendo la validità della patologia diagnosticata, anche quando questa è provata in modo innegabile;
  • si provvede, in modo velato ma costante, ad avanzare continuamente dubbi sulle sue precedenti condizioni di salute psicofisica e sulle capacità di inserirsi affabilmente in contesti lavorativi già strutturati, nonché sulla capacità di realizzare rapporti umani e professionali amichevoli;
  • si provvede a dissimulare sistematicamente le dinamiche di potere realizzate dalla personalità psicopatica che ha dolosamente esercitato la violenza, non evidenziando di proposito le azioni e gli atteggiamenti ove egli manifesta un senso grandioso di importanza, la sensazione che tutto gli sia dovuto, cioè la irragionevole aspettativa di trattamenti di favore o di soddisfazione immediata delle proprie aspettative, il prendersi il merito del lavoro e dell’impegno degli altri, scaricando la colpa dei propri errori, un operare sistematicamente lo sfruttamento interpersonale, cioè un usare gli altri per raggiungere i propri scopi, un mirare al potere per soddisfare interessi difficilmente riconducibili alla realizzazione degli scopi dell’organizzazione, così da dare spazio, sfruttando le risorse degli altri, ai propri obiettivi senza tener conto delle legittime prospettive altrui, invece di delegare, il gestire tutto nei minimi dettagli prendendo il sopravvento ed imponendo il suo personale sistema di valori e la sua personale visione del mondo, restando insensibile al costo che tutto questo comporta emotivamente per gli altri;
  • si provvede a realizzare una ricerca ossessiva di qualunque, anche minima, imprecisione nelle esposizioni raccolte dalla persona offesa, per poi, prendendo spunto da ogni minimo “errore” commesso dall’esaminato nel corso dei suoi racconti opportunamente indotti in modo ripetitivo, proporre immediatamente la conclusione che, se il soggetto ha errato su un dettaglio, nulla garantisce che non abbia mal riferito anche su tutto il resto, così da dissimulare l’evidente sproporzione tra l’entità dell’eventuale inesattezza individuata e le conclusioni che, partendo da essa, sono state tratte;
  • si provvede a raccogliere informazioni sugli eventi riportati dal soggetto vittima della violenza, prevalentemente però da persone favorevolmente disposte nei confronti di chi, la violenza, l’ha dolosamente esercitata, oppure da individui in qualche modo condizionati, influenzati dalle circostanze e preoccupati per le possibili conseguenze future che eventuali dichiarazioni inopportune potrebbero cagionare;
  • si provvede ad amplificare ad ogni opportunità le affermazioni sincere della persona offesa, in modo da esagerare gli eventi rendendoli così ancora meno credibili, poiché gli eventi che una personalità psicopatica perversa è in grado di realizzare per raggiungere una posizione di leadership sono illimitatamente illogici, irrazionali, quindi per loro stessa sostanza poco credibili;
  • si provvede a non manifestare assolutamente che la personalità psicopatica perversa nelle vicende narrate e nella documentazione presentata dalla persona offesa, rifiuta le critiche o, comunque, reagisce ad esse con rabbia, anche quando sono realistiche, incolpa gli altri e non sa ammettere errori o debolezze personali, si mostra sostanzialmente incapace di introspezione psicologica e di apprendere dall’esperienza emozionale e sociale, trae piacere da comportamenti, atteggiamenti ed emozioni che non sono piacevoli per la maggior parte delle persone, e da comportamenti dannosi agli altri (comprendenti danni fisici, violenze, danni morali, impedimenti di ogni tipo al benessere altrui, ed inoltre alcune forme di crudeltà diretta o indiretta come le calunnie e le dicerie malvagie);
  • si provvede, al contrario, ad avanzare continuamente dubbi sull’effettiva ostilità dei fatti accaduti, fatti che tipicamente per loro natura si prestano ambiguamente, per conveniente scelta di chi esercita la violenza, a poter anche essere interpretati in modo neutro o, addirittura, benevolo;
  • si provvede ad avanzare continuamente dubbi in merito ai motivi che hanno indotto la persona offesa a richiedere giustizia;
  • si provvede ad enunciare eminenti citazioni giurisprudenziali ed autorevoli indicazioni bibliografiche, tutte opportunamente orientate nella medesima direzione, ed antitetiche rispetto alle asserzioni innegabili che la persona offesa ha proposto in quanto obbligata, contro la sua stessa volontà, a dover sostenere una tesi oggettivamente difficile da illustrare;
se si ha successo almeno in parte in queste arti comunicative, si riesce a raggiungere un primo, determinante obiettivo: l'indebolimento del consenso del Magistrato che abbia già esaminato la tesi accusatoria quando questa riguarda una violenza perpetrata con la strategia delle sistematiche vessazioni, psichiche e morali, realizzata per motivi di lavoro.

Così, una volta insinuato il seme del dubbio, circa la realtà dei fatti narrati da chi ha subito tale violenza, si può proporre, con professionale neutralità, una sostanzialmente diversa chiave di lettura in grado di sostituire il paradigma e dissolvere tutti i dubbi e le incertezze ingannevolmente concretizzate. In alternativa, all’occorrenza, si può anche ripiegare su una generica motivazione che evidenzi che le prove complessivamente acquisite, alla luce di quanto ricostruito, non consentono di trarre conclusioni certe.

E’ altamente probabile che il Magistrato, di fatto sorpreso quanto disorientato, finirà per rifiutare inconsciamente le dinamiche di potere descritte dalla persona offesa, per convincersi della irrealtà della tesi accusatoria. Pertanto lo si indurrà ad accettare quanto ad arte rimodellato e, convinto suo malgrado dell’inutilità dell’azione penale, egli firmerà l’atto di rigetto voluto.