sabato 3 maggio 2014

Esiste una discrepanza enorme




Il Dr. Heinz Leymann ha sostenuto in passato che, dopo i suoi studi sulle relazioni conflittuali attuate nei luoghi o per motivi di lavoro, si è accesa fin da subito un’ampia discussione. Il problema era inquadrare questo nuovo ambito di ricerca con un nome che potesse identificarlo. Anche se può sembrare un aspetto marginale, in ambito scientifico non lo è.

Così diversi gruppi di ricerca hanno scelto una terminologia diversa a seconda se la conflittualità poteva essere attuata in ambito scolastico, lavorativo o militare. In Inghilterra ed in Australia prevalse il termine mobbing in tutte e tre questi ambiti sociali. Negli Stati Uniti e nel resto d’Europa il termine bullismo è ancora usato per quanto riguarda situazioni scolastiche, mentre la parola mobbing identifica la sola conflittualità nel luogo di lavoro. In ogni caso si è comunque sviluppata altra terminologia per indicare il conflitto interpersonale perpetrato con la strategia delle sistematiche persecuzioni, psichiche e morali.

Anche il Dr. Leymann non ha contrastato questo sviluppo disordinato, perché riteneva più importante l’iniziativa volta ad introdurre nuove aree di ricerca. Non era quindi fondamentale unificare il linguaggio, ma permettere l’avvio di una profonda analisi dei comportamenti umani per lo più legati al narcisismo patologico.

Grazie al lavoro della Dr. Marie-France Hirigoyen è emersa la stessa conflittualità anche in ambito familiare e, talvolta, questa conflittualità la chiamiamo impropriamente mobbing in mancanza di un termine più pertinente per le dinamiche di potere che avvengono nelle mura domestiche.

Per avere un’idea, questo è avvenuto negli anni ottanta e novanta del secolo scorso.

Ora siamo nel 2014 e molte cose sono cambiate.

Questa riflessione trae spunto dalle molteplici iniziative che vengono intraprese per divulgare questi aspetti della società. Oggi sono numerosissimi gli incontri, le conferenze, i seminari di studio, i convegni, le giornate di approfondimento ove la conflittualità interpersonale è l’argomento maggiormente trattato dal super-esperto di turno regolarmente supportato da slide inguardabili; anche le pubblicazioni a stampa sono oramai molteplici. Ma non è più l'epoca della sola quantificazione.

In estrema sintesi, non è tutto oro quello che luccica.

Se prestate attenzione noterete un'enorme discrepanza tra le iniziative che vengono presentate nei convegni e seminari, ove la situazione appare sostanzialmente sotto controllo, e la realtà quotidiana dentro le fabbriche, negli uffici, nei mercati, nelle aziende di trasporto, nelle società di servizi, nelle banche, nelle scuole ed in ambito ospedaliero. Perché avviene questo?

Perché parlare di “mobbing” crea attenzione, prestigio professionale, visibilità, timore reverenziale, rispetto, riguardo. Perché è necessario tranquillizzare le persone. Perché, se a parlare è uno psicopatico che ha raggiunto la stanza dei bottoni, è utile presentare un'immagine patinata che arrivi a disorientare chi non ha forti convinzioni sull'argomento; che crede che il mondo sia sostanzialmente giusto, per cui se gli è capitato è perché deve aver certamente fatto qualcosa di male.

Controllate i temi che vengono trattati, illustrati. Sono dati statistici? Sono diagrammi a torta ove si parla di percentuali di popolazione? Sono diagrammi cartesiani ove è riportata solo l’incidenza del fenomeno riscontrato con ampi e particolari studi che hanno richiesto anni di lavoro di una moltitudine di cervelli? Oppure si descrive un caso concreto, con le iniziative del mobber e della vittima, con l'esemplare sentenza di condanna del Giudice, con le indagini della magistratura o il risarcimento del danno?

Domandatevi che cosa è stato fatto in concreto per tutelare i lavoratori. Quanto è realmente utile a contrastare la violenza e quanto è solo immagine, propaganda.

Non siamo più negli anni ’80 del 1900. Ora la comunità sociale chiede azioni concrete di tutela. L’esistenza di questa forma di violenza è oramai certa. E’ il momento di iniziare a contrastarla per il bene dell’intera comunità. Dei dati statistici, delle persone che desiderano il momento di gloria di fronte ad una platea di persone interessate, possiamo fare tranquillamente a meno.