venerdì 5 febbraio 2016

Attacchi ai dipendenti pubblici





Uno dei modi che conosco per capire quanto equilibrio vi sia in un Paese, è quello di osservare le parate militari e le uniformi dei comandanti.

Nell’ambito degli appartenenti alle forze armate esistono dei gesti codificati, rituali. Ad esempio il classico saluto militare. Oppure elementi codificati, come il colore dei fregi, le dimensioni ed il numero delle medaglie, il colore dei bottoni e delle mostrine delle divise. 

Il saluto militare utilizzato un po’ in tutto il mondo, consiste nel sollevare la mano destra all’altezza della fronte, con la mano tesa ed il palmo leggermente rivolto verso il viso. Il gomito deve restare molto largo ed il gesto dev’essere rapido ed energico. Pochi sanno che deriva da un gesto rituale dei Cavalieri. Infatti, nel Medio Evo, in Europa, gli elmi vennero modificati e venne aggiunta la “celata”, ovvero un piccolo schermo mobile con feritoie che andava a coprire e proteggere gli occhi.

In precedenza gli elmi realizzavano una protezione parziale del volto. Poi, per diminuire la superficie del viso esposta, gli elmi vennero realizzati con minuscole feritoie a croce in prossimità della bocca e degli occhi del Cavaliere. Poiché divenne impossibile riconoscere la persona che si aveva di fronte, tra i Cavalieri si diffuse l’usanza di sollevare l’elmo sopra la testa, impegnando le due mani, per permettere il riconoscimento del viso e, di fatto, dichiarare la propria appartenenza. Sollevare l’elmo sopra la testa significava anche compiere un gesto rassicurante, perché le mani restavano ben in vista e lontano dalle armi. Ma con l’introduzione della celata, che era mobile e si poteva sollevare con un gesto più semplice, l’apertura per gli occhi ritornò a dimensioni maggiori. L’usanza, quindi, cambiò. Non era più necessario sollevare l’intero elmo per farsi riconoscere, ma divenne abitudine sollevare solo la protezione che celava gli occhi, con il gesto della mano destra. Eliminati gli elmi, il gesto è rimasto e si mima ancora come segno di saluto e di rispetto. Per anni noi italiani abbiamo mantenuto questo saluto militare solo quando si indossi un qualche copricapo, mentre altri eserciti lo utilizzavano anche a capo scoperto (tradendone, di fatto, l’origine).

Anche indossare una medaglia sulla divisa ha un significato codificato: la persona che hai di fronte è una persona di valore. 

Esistono medaglie per chi si è distinto in battaglia, per chi ha compiuto un gesto eroico, esistono medaglie per ricordare la partecipazione ad una particolare impresa militare. In ogni caso la medaglia distingue, crea uno status, comunica rispetto, simboleggia il raggiungimento di una posizione di privilegio. 

Ma un eccesso di medaglie significa anche un’altra cosa: in quel Paese, in quella organizzazione militare, si eccede con i titoli onorifici. E questo può significare solo che si è in presenza di un regime totalitario ove, le medaglie, qualunque forma o colore abbiano, vengono elargite in abbondanza per gratificare oltremodo i ruoli di potere. Per tenerli buoni. Per non dargli motivo di ribellione. Non può essere diversamente.

In altre parole, se in un Paese che non combatte guerre da oltre un secolo, i vertici militari hanno medaglie grandi come tappi del barattolo del miele, che tappezzano l’intera giacca e parte dei pantaloni della divisa, c’è qualcosa che non va. Cosa avrà mai fatto un Generale per meritare tanta riconoscenza? Non sarà troppo facile arrivare a conquistarne una? 

Questa tecnica, talvolta, la ritroviamo negli uffici della pubblica amministrazione ma con forme diverse. Nei regimi totalitari, a chi accetta senza resistenze il condizionamento vengono affidati incarichi prestigiosi, visibilità esterna, carriere fulminee, ruoli di potere, direttivi, onorificenze e gratificazioni economiche, diplomi. In genere non vengono premiati i migliori, i più professionali, le persone più equilibrate, i talenti naturali. In genere vengono valorizzati i mediocri, coloro che non avrebbero avuto nessuna possibilità di raggiungere una posizione di prestigio professionale in un sistema realmente meritocratico. 

E, tutto ciò, ha una sua logica, anche se perversa.

Infatti, valorizzare un individuo mediocre significa assicurarsi la sua eterna riconoscenza; diversamente avrebbe tutto da perdere egli stesso. Ma significa, al contempo, non subire pericolosi confronti con persone realmente capaci alle quali vengono tarpate le ali. E’ un po’ come il colore grigio che, a seconda di come lo abbini, con colori chiari o scuri, sembra talvolta nero e talvolta bianco. Così, circondarsi di incapaci coperti di medaglie, mette al sicuro il potere del despota. 

Ma le persone senza medaglia restano comunque un potenziale pericolo. Esiste una soluzione migliore? Certo che esiste. Consiste nell’eliminarli con decisione dall’organizzazione.

Per conquistare e controllare un Paese non è necessario invaderlo con i carri armati, è sufficiente controllare in modo totale la sua pubblica amministrazione. Poiché non è moralmente accettabile eliminare dal contesto chi rifiuta il condizionamento, e poiché è opportuno mantenere e non perdere il consenso sociale, allora si avvia una compagna di discredito e demonizzazione. Essere un dipendente pubblico deve divenire sinonimo di nullafacente, querulomane, approfittatore, parassita, ignorante, incapace. Il sentimento di disprezzo che ne seguirà nella comunità sociale giustificherà l’emanazione di urgenti provvedimenti di razionalizzazione delle risorse ed allontanamento dei fannulloni.

A quel punto basterà additare il “nemico” per poi allontanarlo senza perdere il consenso sociale. E quelli con le medaglie grandi come tappi del barattolo del miele non faranno nulla per impedire il dominio, perché a loro va bene così.