giovedì 5 settembre 2013

La Guerra Psicologica nel vero significato del termine




Perché il biondo Menelao, figlio di Atreo, chiede a suo fratello Agamennone di portare la guerra sotto le mura di Troia?

Per il potere.

Menelao non è il vero Re di Sparta. Elena, sua moglie, è Regina di Sparta, lui è divenuto Re per diritto acquisito. Quindi se Elena lo abbandona e sposa un altro uomo, Menelao perde il potere a cui è abituato. Questa, come ci ha narrato Omero, è l’autentica ragione della Guerra di Troia. Una guerra per imporre ad Elena una volontà che lei rifiuta.

Omero ci aiuta a capire bene la natura della guerra. Infatti non sarà Achille a determinare con la sua abilità nell’uso delle armi la fine del conflitto combattuto schieramento contro schieramento, bensì sarà Ulisse con l’inganno a decretare la fine della resistenza della città di Priamo. L’inganno, nella sua essenza, non è un fattore fisico, né tecnologico e nemmeno organizzativo.

Possiamo definire “Guerra Psicologica” quell’attività comunicativa volta ad alterare, direttamente o indirettamente, la percezione, la capacità di analisi, la coesione interna, l’autostima o la determinazione di un avversario, in modo da debilitarlo e raggiungere un vantaggio strategico al fine di imporgli la nostra volontà. Con il termine “avversario” non si intende necessariamente una persona; avversario può essere un gruppo, un’organizzazione, una società concorrente, una comunità politica oppure un’unione di individui aventi un interesse comune.

Per ottenere questo fine è necessario utilizzare una moltitudine di tattiche, ortodosse e non ortodosse.

Sul piano tattico qualunque cosa può essere utilizzata come “arma” per colpire ed alterare l’integrità dell’avversario, anche se la comunicazione falsa, malevola o paradossale resta il mezzo offensivo prioritario. Come conseguenza implicita, la guerra psicologica accresce la percezione, la capacità di analisi, la coesione interna, l’autostima e la determinazione di chi effettivamente la realizza.

In guerra prima si ottiene con la violenza la sottomissione dell’avversario alla propria volontà, poi si afferma il proprio dominio mettendolo nelle condizioni di non poter opporre ulteriore resistenza, infine si agisce per guadagnare il favore dell’opinione pubblica.

In estrema sintesi, se la situazione lavorativa che state vivendo ha una certa analogia con quanto appena indicato, probabilmente dovrete smetterla di autocolpevolizzarvi ed iniziare ad analizzare le dinamiche di potere con gli stessi criteri di un comandante stratega spartano.

Anche se non ve ne siete accorti, siete in guerra!

Per prima cosa, appurato ciò, è fondamentale comprendere il rapporto di forza con l’avversario. Se l’avversario ha un numero di risorse (rete di amicizie compiacenti, possibilità economiche, tempo, possibilità di esercitare dinamiche di potere, possibilità di controllare le informazioni, …) sovrastanti le nostre di almeno tre volte, lui è oggettivamente il più forte e noi siamo i più deboli. Se l’avversario ha un numero di risorse paragonabili alle nostre, il rapporto di forza è sostanzialmente in equilibrio. Se l’entità delle nostre risorse sovrasta quelle dell’avversario di almeno tre volte, noi siamo i più forti e lui è oggettivamente il più debole.

Nella violenza perpetrata con la strategia delle sistematiche vessazioni, psichiche e morali, attuata per motivi di lavoro, l’aggressore è sempre in una posizione di supremazia, potendo dominare l’avversario con un rapporto di forza maggiore di tre ad uno. La guerra del più debole contro il più forte ha le sue regole e le sue logiche; è normalmente teorizzata ed indicata come: la Guerra di Guerriglia.

Non stupitevi di tutto questo, in fondo la pace non è altro che quell'arco di tempo che intercorre tra una guerra e l'altra.