venerdì 20 settembre 2013

Si vis pacem para bellum




Certi ambienti di lavoro sono caratterizzati da potenti dinamiche di potere distruttive che si sono affermate nel tempo. Questo si verifica in particolare nei luoghi di lavoro della pubblica amministrazione in generale, della sanità, delle banche, degli istituti di insegnamento. Le dinamiche di potere conducono inevitabilmente a relazioni conflittuali perché portano con loro, nascosta, la volontà di acquisire potere, prestigio sociale, denaro ed onorificenze. 


Per alcune persone il potere, inteso nel senso più ampio del termine, è il fine ultimo del loro vivere. Tutto deve inevitabilmente ruotare intorno a loro; tutto deve inevitabilmente dipendere da una loro decisione (autoritario). 
Per altre persone il potere è invece un mezzo, lo strumento che permette la realizzazione di un’innovazione, di una conquista scientifica, di una divulgazione letteraria o matematica (autorevole). 


Quando si instaura una lotta per il potere in un determinato contesto lavorativo non è facile comprendere da che parte stanno i contendenti. Idealmente le posizioni possibili sono tre: autoritario contro autoritario; autorevole contro autorevole, oppure autorevole contro autoritario.
Le prime due posizioni conflittuali non suscitano grande interesse. Lo scontro per arrivare alla stanza dei bottoni portato avanti tra due personalità autoritarie è una lotta sterile, chiunque vincerà si trasformerà ben presto in despota, in tiranno, realizzerà il suo regno, per cui non vale la pena approfondire. Al pari il conflitto tra due persone autorevoli è tanto raro quanto incruento. Invece la guerra per il potere tra una personalità autoritaria ed una autorevole è quella che più di frequente ci ritroviamo davanti agli occhi, quella che andrebbe indirizzata a favore di chi, il potere, lo vede come un mezzo per trasformare le opportunità in realtà concrete ed utili alla collettività.


In genere le personalità narcisistiche tendono a nascondere il loro desiderio di potere, ma utilizzano la manipolazione subdola che talvolta sconfina nella perversione. Questi soggetti tendono ad aspettare che la loro vittima abbassi le difese psicologiche per poi saltare alla loro giugulare, sfruttando la sorpresa. In molti casi le vittime sono le persone più efficienti, preparate, creative, altruiste o produttive. La violenza vene inizialmente propagata in modo nascosto. Può essere diretta o indiretta. Si tratta di una comunicazione sempre contrastante, aggressiva, paradossale, denigratoria, finalizzata a destabilizzare la vittima. Gli obiettivi dell’aggressore non vengono mai resi espliciti, per questo chi subisce non riconosce in questa fase l’imboscata in atto.

In una struttura produttiva o amministrativa mal organizzata la dirigenza, rifiutando di tenere in considerazione le esigenze umane e sottraendosi alle responsabilità di tipo gestionale, finisce per amministrare i dipendenti per mezzo della falsità, della paura, del discredito artatamente costruiti. Tale approccio apparentemente sembra legato ad una impreparazione di fondo del manager, ad una sua incapacità professionale, inesperienza, invece è subdolamente finalizzato a disorientare continuamente la controparte, ad orientarla verso la confusione, a mettere gli oppositori l’uno contro l’altro, ad elevare il livello dello stress senza che vi sia evidenza, per cui l’aggressività raggiunge punte elevatissime.

Non si comprende più qual è l’origine del conflitto, si dimenticano le cause che lo hanno originato, tutti sono invasi dall’ansia, dalle paure, dalla confusione. In questo modo si portano gli antagonisti ad assumere un esagerato comportamento difensivo, caratterizzato da aggressività, confusione e perdita di controllo.


Quando le figure dirigenziali si mostrano compiacenti con l’aggressore autoritario, la degenerazione delle relazioni spinge tutti a prendere una posizione. Anche gli altri dirigenti, che solitamente non si sarebbero compostati in modo aggressivo, finiranno per adottare comportamenti cinici, arroganti, estremamente negativi.

A questo punto l’aggressione si può strutturare su due livelli: 
  • un primo livello ove il lavoratore aggredito finisce sì per perdere opportunità di carriera, prestigio sociale e professionale, denaro, ma non arriva ad ammalarsi di depressione, raggiunge in buona parte i suoi obiettivi come il realizzare una famiglia e crescere dei figli, restando inserito nella comunità sociale;
  • nel secondo livello la vittima assiste alla progressiva e feroce distruzione della sua esistenza, con l’insorgere di gravi disturbi di personalità, con la necessità di realizzare il ritiro sociale, con l’impossibilità di crearsi una famiglia, di lavorare in modo proficuo, di vivere una vita piena e non indebitamente condizionata.
E’ molto difficile stabilire un confine tra i due livelli, ma è sicuro che una violenza in grado di condurre il lavoratore vittima delle aggressioni alla progressiva e feroce distruzione della sua esistenza deve essere denunciata penalmente. Perché i diritti dei cittadini non mutano a seconda delle armi e delle strategie che vengono utilizzate contro di loro.